Raccontammo Ornella e Federica, storia di una mamma e di una figlia col cancro. Oggi Federica non c’è più
C'è un brano del romanzo ‘L'idiota' di Dostoevskij che spesso viene usato nei testi vogliono raccontare la morte di una giovane vita. Forse in Italia per la prima volta il grande pubblico lo conobbe grazie ad un bel film di Francesca Archibugi degli anni Novanta, "Il Grande Cocomero".
Fa così:
Ma solo a una domanda, che lo investiva a ondate regolari con affanno, il principe Mishkin non sapeva rispondere: «Perché, Signore, i bambini muoiono?».
Noi non abbiamo niente di Fëdor Dostoevskij né del suo Principe prekrasnyj, giusto e bellissimo. Gli strumenti della cronaca sono spuntati davanti a vicende del genere, il racconto giornalistico deve scansare i paletti del pietismo, della violazione della privacy, della voglia di sensazionalismo su un fatto doloroso che – tutto sommato – riguarda una famiglia. Dicono non sia d'interesse collettivo. È sull'interesse collettivo che invece si posa l'impegno del cronista: racconta affinché gli altri sappiano e capiscano.
Ma su quest'ultimo aspetto, parlando di Federica, morta qualche giorno fa per una aggressiva forma di cancro a 13 anni, occorre riflettere più a fondo. È la morte di una ragazzina e con esso il lungo doloroso percorso di una mamma, di una famiglia, argomento di interesse collettivo?
Un anno fa Fanpage.it decise che la malattia di Federica e il rapporto con la mamma, Ornella, imprenditrice napoletana del settore pelletteria, dovevano essere raccontati. Con l'accortezza del caso. Servì del tempo.
Federica chiese, s'impose, di essere nel racconto. Il giornalista che entrò a casa di Ornella Auzino realizzò un solo video. Da allora non ha più lasciato la storia di quella famiglia.
C'è una vecchia scuola di pensiero che sostenne la necessità di una empatia a responsabilità limitata del cronista. Arrivò poi Kapuściński a spiegarci che no, «il cinico non è adatto a questo mestiere». E nemmeno colui che dichiara chiusa una storia alla consegna di un pezzo.
Ornella e Federica, madre e figlia, sostegno contro la malattia. La donna: «Il mondo intorno a te vuole ricordarti che tua figlia è malata, ma le persone non sono pronte alla malattia». La bambina: «Il cancro mortifica il corpo, ma ciò che cambia attorno a te è il rapporto con le persone. Mi sento presa per il culo da tutte quelle frasi tipo "ce la farai". Il mio obiettivo è non arrendermi mai».
Era giugno del 2022, fummo sommersi di testimonianze analoghe. L'argomento era dunque d'interesse collettivo, poiché quotidiana è la prassi, l'ansia e il dolore negli ospedali, nelle cliniche, nei centri specializzati, nelle case. Federica Pugliano non aveva un volto nel video di Fanpage.it essendo una minore, come giustamente prescrive il codice di deontologia dei giornalisti.
Gli ultimi mesi sono stati una precipitosa discesa, non v'è bisogno di specificare altro. E dov'è, dunque l'interesse collettivo nel raccontare il declino e una morte giovane?
In alcuni casi diventa "notizia" quando i genitori condividono i propri pensieri e il proprio dolore sulle piattaforme sociali. Ma non è questo, non è un post di Instagram copiato, cannibalizzato e restituito a mezzo stampa a fare della morte di Federica, anni 13, un articolo di giornale.
Lo è, d'interesse pubblico, la difficoltà nel trovare una struttura capace di accogliere una piccola malata terminale in un letto attrezzato d'ospedale ma al tempo stesso capace d'ospitare anche la lunga veglia di dolore dei suoi genitori. Lo è, d'interesse collettivo, il lavoro di tanti medici che tutti i giorni hanno a che fare con la sofferenza pediatrica.
Anche in questo caso: non è vero che non c'è mai empatia. Una delle dottoresse che hanno assistito Federica era al suo funerale: aveva appena staccato dal lavoro, aveva ancora con la maglia dell'Asl addosso. La disastrosa sanità della Campania è nelle mani e nella pietas dei singoli.
E sono poi di interesse pubblico quei piccoli gesti che possono essere d'ispirazione per altri. Ce ne sono decine. Due fra tutti, quello del noto pizzaiolo che, contattato per il desiderio di assaggiare un po' di quella pizza lì, non si fa pregare un attimo e corre da una parte all'altra della città per arrivare dalla ragazza con la pizza ancora calda.
Lo è il gesto dell'amico che si presenta con decine di ovetti di cioccolato semplicemente per giocare a cercare le sorprese e finire la collezione di Harry Potter.
Non può essere solo la fine e l'orrore a far notizia. Nel dolore anche i gesti d'altro segno possono, devono esserlo. No?
C'è poi la fine e non va spiegata. Prima e dopo la fine c'è stato don Mimmo, il vescovo di Napoli. Per tre volte don Mimmo Battaglia è stato da Federica e dai suoi genitori. Ed è stato lui a presentarsi in piazza Ottocalli, parrocchia Santi Giovanni e Paolo per celebrare il rito funebre e rivolgersi a centinaia di persone.
È una morte giovane: Federica, mamma Ornella e papà Massimo sono persone conosciute e stimate nella zona, logico che vi fosse così tanta gente, sembra di vederli sfilare come in un film di Vittorio De Sica. Il fioraio lo conosco, è quello specializzato in addobbi di festa. Accarezza i fiori sul feretro e li sistema cento volte, sono le premure che ad un cronista si fissano in testa e lo perseguitano.
Don Mimmo arriva dal campo rom di Scampìa dove ha lavato i piedi alle famiglie che vivono lì, come un buon pastore fa nella Settimana Santa. Si rivolge a tutti chiedendo ascolto, non professione di fede: «Perché non so se siete tutti credenti, qui».
L'etimologia del nome Federica significa «potente in pace», Mimmo Battaglia parla per mezz'ora giocando col vezzeggiativo Fede, creando una bivalenza con la fiducia nell'Altrove. Si appella alle ragazzine amiche di Federica che piangono fitto fitto ma silenziosissime, tutte abbracciate: «Non fatele un torto, continuate ad amare la vita, la morte ha trovato Federica viva, non si era mai abbattuta, ora non fatelo voi».
Racconta, l'arcivescovo di Napoli che nei giorni più brutti, quelli vicini alla fine, era arrivato a pregare per la bambina affinché cessasse il suo dolore. È un racconto molto sincero, sentito. «Non mi era mai capitato così, in tanti anni che sono prete». Lo dice e sembra di leggere don Lorenzo Milani, don Tonino Bello. Una parte delle persone presenti non aveva mai conosciuto la piccola Federica Pugliano senza i segni del dolore. E così, quando sfila davanti al feretro e vede la foto sgrana gli occhi.
Il resto è un qualcosa che si vede spesso ai funerali di giovanissimi. L'applauso all'uscita, i palloncini bianchi che salgono più in alto del ponte di Capodichino, mentre tutto intorno c'è traffico, la gente non capisce ma nessuno bussa col clacson perché quella è una zona così trafficata che è normale. Tutto intorno ci sono festoni azzurri, ci sono bandiere bianche e azzurre, c'è il tricolore. E i ‘volanti' bianchi salgono, un applauso. Qualcuno pensa ad una festa, poi lo informano «Quello qui è morta una bambina». Il vescovo via via, «ci vedremo il 22 aprile, il giorno del compleanno di Federica». La mamma torna a casa, scrive un po':
L’ho vista nascere e morire. Può sembrare un titolo forte di un romanzo o qualcosa di simile, ma in realtà sono le prime parole che mi sono venute in mente quando ho visto Fede esalare l’ultimo respiro. Non succede a tutti e bisogna dare il giusto valore a questa esperienza.
Sono stati giorni lunghi e vissuti con la volontà di rendere giustizia all’esistenza di una ragazza straordinaria, di cui ho la fortuna di essere stata scelta come madre.
Ho condiviso tante cose qui sui social e un po’ alla volta, continuerò a raccontare il percorso di Federica e di tutto quello che abbiamo vissuto.
Fede ha cercato di dare dignità a tutto quello che le è capitato.
Ha lottato contro la malattia ma anche contro le invalidità che sono conseguite.
Ha lottato contro la compassione e il buonismo , che fanno male quanto il tumore.
Ha lottato contro i limiti sociali e l’indifferenza.
Ha lottato per vivere ma sempre con la consapevolezza che la morte l’aspettava, come aspetta tutti noi.Ha sofferto tanto ma non è mai stata scortese o maleducata con il medici, infermieri, oss e chiunque altro.
Fede ha trasformato un’enorme tragedia in una lezione di vita, per me e per chiunque l’ha incontrata.
Da oggi io, il padre e Francesco dobbiamo imparare a vivere una nuova vita, di cui lei fa parte e di cui lei è motore.
A chi sta combattendo questa malattia chiedo di non farsi abbattere da notizie come la morte di Fede.
Bisogna lottare e sperare sempre.Grazie a tutti quelli che ci sono stati con la presenza, un messaggio, una condivisione o un cuore.
Ora Fede è libera di tornare a correre ed essere ciò che vuole.
A me, a noi mancherà la presenza fisica ma sono convinta che da angioletto che è diventata, presto mi farà sentire il suo battito d’ali.
Nel frattempo il nostro amore continua, cresce e gioisce alla vita.
Vi voglio bene e Fede amava leggere i vostri commenti ricchi d’amore.
Grazie a chi mi aiuterà a portare avanti il sorriso di Fede e la sua magia di vivere.