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Aggressioni, super lavoro, stipendi miseri: cosa significa essere infermiere in Campania

Giorni di aggressioni nelle Asl campane, se ne sono registrate almeno due solo negli ultimi due giorni. Quelli più colpiti sono gli infermieri che sono passati dall’essere eroi a bersagli di violenza in un solo anno.
A cura di Vincenzo Piccolo
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Cosa significa essere infermieri in Campania? Dopo giorni di aggressioni negli ospedali, dove se ne sono contante diverse questo fine settimana. A spiegarlo è Manuel Ruggiero durante una diretta sul profilo Facebook dell'associazione ‘Nessuno Tocchi Ippocrate', che si occupa proprio di questo. L'ultima in ordine di tempo; proprio nei suoi confronti, è avvenuta a Licola durante un intervento di 118.

Un uomo in mezzo alla strada che sbraita con un telefono in mano, si avvicina all’automedica ed incomincia a sferrare calci e pugni al finestrino lato passeggero, rischiando di mandare in frantumi il vetro. Faccio cenno all’autista di scappare e metterci in sicurezza, (perché il protocollo lo prevede in caso non si possa fare l'intervento in sicurezza), chiamo la centrale chiedendo l'intervento delle forze dell'ordine.

Poi continua a raccontare quello che è avvenuto con l'arrivo della Polizia:

Quando veniamo avvertiti dell'arrivo della volante della polizia di Pozzuoli ci riavviciniamo al paziente e quest’ultimo ,alla mia vista, continua ad inveire nei miei confronti. Decido di rientrare nell'automatico e di lasciar fare ai colleghi, visto che il paziente ha solo un taglietto in testa che non necessita nemmeno di sutura ed ha rifiutato il ricovero, in pratica voleva una medicazione a domicilio

Ruggiero che ha fatto dell'argomento aggressioni al personale sanitario una battaglia quotidiana sottolineando come « la situazione sia in metto peggioramento, nel 2019-2020 durante la pandemia siamo stati eroi. Poi nel 2021-2022 c'è stato un promo incremento, fino a passare alla carneficina di quest'anno», sostiene il medico secondo cui l'unica soluzione sarebbe «Il ripristino, ma in modo utile, dei drappelli della polizia in tutti i pronti soccorso e ospedali. Ma fissi 24 ore su 24».

Anche all'ospedale Moscati di Aversa lo scorso venerdì sera c'è stata un'aggressione ai danni di un'incermia del reparto di pediatria. Un uomo giunto direttamente e su sua iniziativa all'esterno del reparto avrebbero preteso che il figlio venisse visitato per primo, senza attendere il turno, nonostante gli fosse stato assegnato un codice verde. Avrebbero aperto con forza la porta d'ingresso e strattonato, scaraventando a terra un'infermiera. Sul posto sono intervenute le guardie giurate in servizio e le forze dell'ordine.

La ragazza è stata medicata e refertata con ferite giudicate guaribili in cinque giorni. L'uomo è fuggito quando ha sentito dell'arrivo delle forze dell'ordine, ma è stato rintracciato attraverso le generalità del figlio.

Il malessere diffuso per le aggressione riguarda soprattutto la professione infermieristica, perché fanno da sentinelle sia nei reparti che nel pronto soccorso e sono maggiormente esposti ad atti di violenza sia fisica che verbale. Fanpage.it ha raccolto qualche testimonianza:

Il primo a parlare è Luigi C. che parla della sua esperienza come infermiere di assistenza domiciliare integrata (Adi) presso l'Asl di Aversa dove:

Noi facciamo quello che possiamo. Un infermiere in Adi assiste anche 20 pazienti al giorno, casa per casa, mettici il tragitto in una città caotica come Aversa, trovare il parcheggio che non dia fastidio perché la gente è diventata insofferente verso gli operatori del sistema sanitario. Ho notato questa malessere diffuso nei nostri confronti. Per esempio, ho lavorato un anno con la mia macchina e non ho avuto problemi, ora che ho la macchina dell'azienda le persone cercano proprio l'appiglio per litigare.

Riguardo alle condizioni di lavoro presso l'Asl, racconta:

L'azienda non offre niente, qualsiasi cosa si propone non viene mai considerata. Avevo proposto un paio di cose, ma mi hanno rifiutato tutto. Ti senti inutile perché sai che non riuscirai a risolvere tutto.  Se a questo ci aggiunge le aggressione e i maltrattamenti ecco il burnout, perché emotivamente e mentalmente non ce la fai.

Mafalda ha 23 anni, ed è un'infermiera del 118 a Napoli, inizia a raccontare la sua esperienza spiegando quanto sia difficile stabilizzare un paziente per il trasporto in ospedale, è importante essere veloci per salvare vite: «le ambulanze sul territorio sono veramente poche, rispetto al numero di abitanti», poi confida le principali difficoltà che incontra nel rapporto con l'azienda e l'ambiente di lavoro e racconta:

L'azienda non assiste su nulla, per fare un esempio nel caso di una denuncia penale si chiama fuori da qualsiasi responsabilità e ogni infermiere deve difendersi da solo. Per questo è importante fare squadra con i colleghi. A fine giornata bisogna saper "resettare", per poi poter ricominciare il giorno dopo. C'è stato più di un momento in cui ho pensato di lasciare tutto, in cui mi sono sentita molto giù, ma questo lavoro è così. Quando le persone non capiscono che vuoi solo aiutare e invece ti aggrediscono ti viene da pensare "ma cosa ci faccio qui? forse questo lavoro non fa per me".

Gli infermieri non stanno bene, si sentono svalutati sia a livello economico che professionale. È un lavoro difficile, ancor di più se fatto un Italia e ancor di più se fatto a Napoli.  Quando passerà anche la voglia di alzarmi per venire a lavoro, sarà il momento di dire basta. Ad oggi sono contenta.

La situazione si complica per Rosa 30 anni, infermiera al carcere di Poggioreale, dove ci sarebbero difficoltà da tutti i punti di vista:

Le medicherie sono quasi inagibili: scarsa igiene degli ambienti, umidità sulle pareti, muffa pericolosa, sono prive della maggior parte del materiale di lavoro e senza riscaldamenti d'inverno e aria condizionata d'estate (non sono mancati episodi di sincope da calore).

Poi passa a parlare della quantità di lavoro «200/300 detenuti per un solo infermiere».

200/300 detenuti per un solo infermiere, a cui devi aggiungere il carico mentale che trasmette quel posto. Peggiora se sei una donna: commenti e giudizi sempre poco gradevoli, spesso anche a livello personale. La cosa più difficile da sostenere è proprio questa, un branco di lupi contro un agnello.

Ci vorrebbero molti più infermieri. Da quando lavoro ho sempre cercato di portare a termine il mio, anche i situazioni disumane, ma da quando sono qui è capitato di non riuscire a finire tutto durante il mio turno. Questo perché l'ambiente lavorativo è tossico e non sicuro. Qui si rischiano aggressioni molto più frequentemente, si rischiano patologie come la scabbia, malattie infettive come HIV,HCV,HBV e a noi non viene riconosciuta alcun tipo di indennità

Un giro d'aiuto che, nel caso di Rosa, è restato completamente inascoltato:

Spesso torno a casa nervosa. Mi arrabbio non solo per il lavoro, ma anche per la poca considerazione che hanno di me. Già ci privano di tutto per entrare qui dentro, poi il posto di lavoro crea un malessere interiore che porta un infermiere all'esasperazione. Le istituzioni non si interessano e, col tempo, si è creato un ambiente di lavoro negativo che porta al calo delle prestazioni, perdendo sempre più infermieri.

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