
I giornalisti campani che lo seguono da decenni sono concordi: «È finita un'era». Vincenzo De Luca, lo sceriffo della politica campana, l'uomo politico che da Salerno sfidò tutti, destra e sinistra, a suon di dirette televisive e social, sarcasmo tagliente e pugni sul tavolo, il politico che durante il Covid divenne «il governatore degli italiani» con le sue sortite nelle varie fasi della pandemia, non si può più ricandidare alla guida del più importante ente della Campania, la Regione. Lo ha fermato una sentenza della Corte Costituzionale: ha incenerito la legge campana che consentiva il suo terzo mandato.
L'ex dirigente del Partito Comunista a Salerno, oggi esponente del Partito Democratico ma da sempre in conflitto con la dirigenza Dem, l'eterno avversario di Antonio Bassolino nella leadership politica in Campania, ha passato il giorno più lungo senza fermarsi un attimo.
Nel pomeriggio Paolo Russo, il suo storico portavoce, una delle persone a lui più vicine, era a Palazzo Santa Lucia, sede della giunta regionale. E De Luca ha continuato a lavorare, è andato ai funerali dell'intellettuale Roberto De Simone, ben sapendo che gli occhi di tanti sarebbero stati puntati su lui e su ciò che avrebbe detto o fatto.
Quando si è entrati in orario critico, cioè poco dopo le 19, De Luca si è ritirato nei suoi uffici per attendere il verdetto. Alle 19.30 circa è arrivato: negativo. Tutto finito. E il già sindaco e sottosegretario verga poche ma pesantissime righe contro la Consulta, col tono che ben conosce chi lo segue. Parla di una «straordinaria performance giuridica dell'Alta Corte» e continua: «Accolta una tesi strampalata, progettata in udienza, che ha fatto inorridire autorevoli costituzionalisti. La buona notizia è che ci sarà molto lavoro per gli imbianchini. Si dovrà infatti cancellare in tutte le sedi giudiziarie del Paese la scritta: la legge è uguale per tutti».
Cosa accadrà politicamente in Campania ora assomiglia a ciò che avviene con la destituzione di un sovrano, poiché da tale De Luca ha governato: pugno fermo, centralizzazione di ogni decisione e soprattutto voglia di decidere fino all'ultimo posizioni apicali, dirigenti, strategie, perfino i testi della propaganda istituzionale, i pannelli pubblicitari color blu ministeriale che raccontano a suon di slogan le varie iniziative della Regione.
Approdiamo in una fase fluida che più non si può. E lo si capisce anche dai termini di una nota vergata dal leader di Forza Italia Fulvio Martusciello, uno degli ex papabili candidati (che ha rinunciato dopo il caso Europarlamento). Scrive Martusciello: «Porte aperte a chi lascia De Luca». Dunque è una chiamata ai centristi che non si riconoscono nel campo largo progettato dal centrosinistra di Elly Schlein e nell'ipotesi di candidare il M5S di lungo corso Roberto Fico, ex presidente della Camera. Ben coperta da "bruciature" resiste anche la candidatura del sindaco di Napoli e presidente di Anci Gaetano Manfredi, figura meno esposta e più gradita ai moderati.
E il centrodestra? Per Giorgia Meloni è tempo di sondaggi. Dovrà infatti necessariamente sondare Matteo Piantedosi, ministro dell'Interno ma anche Edmondo Cirielli, parlamentare salernitano di Fratelli d'Italia. Per Piantedosi c'è un enorme problema: se va via dal Viminale, quella casella la pretende Matteo Salvini. E Giorgia Meloni non lo rivuole al ministero dell'Interno, sic et simpliciter.
Una cosa è certa: la sfera d'influenza di Vincenzo De Luca non finirà con la sentenza della Consulta, non si spegnerà del tutto come un interruttore. Egli potrebbe essere per il centrosinistra lo Jep Gambardella delle Elezioni Regionali in Campania: se non le vince, può farle fallire.
