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Droga in carcere a Secondigliano: 200 euro a pacchetto a poliziotto corrotto, telefoni nascosti sotto il water

Il traffico di droga e telefoni in carcere a Secondigliano era gestito dal figlio del boss Vigilia, con un agente corrotto: il racconto del collaboratore di giustizia.
A cura di Nico Falco
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Immagine di repertorio
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Il traffico di telefoni cellulari e di droga all'interno del carcere di Secondigliano sarebbe stato gestito da Alfredo Vigilia Junior, figlio del boss omonimo di Soccavo, che per far entrare i pacchetti si sarebbe fatto aiutare dalla compagna e da un agente della Polizia Penitenziaria corrotto. I tre sono tra i destinatari della misura cautelare in carcere eseguita ieri dai carabinieri per 28 persone (24 in carcere e 4 ai domiciliari). A raccontare i retroscena del traffico dietro le sbarre è, tra gli altri, il collaboratore di giustizia Giuseppe Grillo, dal 2006 affiliato al clan Belforte e dal 2014 ai Piccolo-Letizia, nel Casertano.

L'uomo è stato per un periodo in cella con Mariano Porcino (inizialmente sfuggito alla cattura ieri ma che si è costituito questa mattina alla caserma Pastrengo), indicato come uno dei personaggi chiave del traffico. Il racconto è nell'ordinanza firmata dal gip Isabella Iaselli al termine delle indagini dei carabinieri in collaborazione con la Polizia Penitenziaria. Grillo ha raccontato, oltre ai sistemi utilizzati per far arrivare la droga in carcere grazie alla connivenza di un agente, anche le tecniche che venivano utilizzate per nascondere i cellulari, anche questi contrabbandati tra i detenuti dal gruppo che sarebbe stato guidato prima da Vigilia e poi, dopo la scarcerazione e del suo braccio destro, dal suo precedente collaboratore Scotti. Altri collaboratori hanno spiegato che i detenuti potevano anche scegliere di cambiare cella (pagando ad altri agenti corrotti, anche loro destinatari di misura cautelare ma ai domiciliari), in modo da ricompattare i clan anche dietro le sbarre.

Il traffico in carcere gestito dal figlio del boss con il poliziotto corrotto

I fatti raccontati da Grillo risalgono alla metà del 2018, quando, già detenuto nel carcere di Secondigliano, dopo una condanna associativa fu trasferito nel reparto S3, nella stessa cella di Porcino. Da lui avrebbe saputo dei traffici e di come si svolgevano. In quei giorni Grillo avrebbe fatto amicizia con Alfredo Vigilia Junior, Angelo Marasco (che lui chiama Morisco, non ricordando il cognome), detto Giovannone, e Salvatore Scotti, indicati come i capi del traffico.

Secondo le dichiarazioni del collaboratore, che riferisce quanto gli avrebbe spiegato Mariano Porcino, il traffico veniva gestito insieme all'agente della Polizia Penitenziaria Salvatore Mavilla, detto "‘o Mandrillo", che, prossimo alla pensione, avrebbe anche detto di far entrare quanti più oggetti possibili approfittando degli ultimi mesi in servizio. L'uomo, secondo il racconto del collaboratore Niglio, avrebbe collaborato anche con Antonio Napoletano detto ‘o Nannone, però senza ottenere soldi in cambio: conosciuto da quei detenuti col nome di Luigi, lo avrebbe fatto per riconoscenza, dopo che il baby killer della Paranza dei Bimbi si era impegnato affinché i suoi contatti all'esterno del carcere convincessero il figlio dell'agente a non spacciare più.

Come entravano droga e cellulari nel carcere di Secondigliano

Grillo spiega che Alfredo Vigilia riferiva a Mavilla il numero dei pacchettini da far entrare e che quest'ultimo si accordava con Marasco su modi e tempi; gli oggetti venivano consegnati durante i colloqui del giovedì da da Luisa Di Fusco, compagna di Marasco (destinataria di misura ai domiciliari), che li riceveva all'esterno del carcere dai parenti dei detenuti; per ogni pacchetto la donna incassava 400 euro, dandone la metà all'agente Mavilla. Gli oggetti venivano quindi dati a Vigilia, che li passava a Marasco, addetto alla distribuzione.

Ma il traffico non comprendeva soltanto la droga: merce preziosa erano anche i telefoni cellulari, che arrivavano con le stesse modalità. Porcino, ha raccontato Grillo, custodiva quelli di altri detenuti. I terminali potevano essere caricati nella presa del televisore, utilizzando un cavo ricavato dal neon. I cellulari, in un contenitore ricavato tagliando in due una bottiglia, venivano nascosti in un vano sottostante il water: il sanitario veniva smontato e rimontato con una chiave inglese.

Denunciate parenti di detenuti: prendevano il reddito di cittadinanza

Nell'ambito della stessa inchiesta sul traffico di droga e cellulari nel carcere di Secondigliano, i carabinieri del Nucleo Investigativo, insieme ai colleghi del Nucleo Ispettorato del Lavoro di Napoli, hanno effettuato controlli incrociati sui familiari delle persone indagate. Sono state denunciate a piede libero e segnalate all'Inps 5 donne, parenti dei detenuti: è emerso che percepivano il reddito di cittadinanza indebitamente, non avendo dichiarato, nella richiesta, lo stato detentivo del proprio familiare. Complessivamente avrebbero incassato circa 33mila euro.

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