Domani, 14 luglio, il presidente del Consiglio Mario Draghi e la ministra di Giustizia Marta Cartabia si recheranno in visita al carcere di Santa Maria Capua Vetere. Si tratta della casa circondariale "Francesco Uccella" all'interno della quale agenti di Polizia Penitenziaria hanno picchiato più e più volte i detenuti organizzando una vera e propria rappresaglia dopo una rivolta carceraria. Per queste vicende 52 tra funzionari e agenti sono in galera o ai domiciliari. Si tratta dell'inchiesta che coinvolge il maggior numero di uomini in divisa in Italia da vent'anni a questa parte, da dopo il G8 di Genova.
Il gesto di premier e Guardasigilli è chiaro. È storico e politico. Ribadisce che la violenza di Stato, la sopraffazione di uomini in divisa non può esistere in un Paese civile. È un gesto politico poiché in chiaro contrasto con chi – parliamo del leader della Lega Nord Matteo Salvini – si è presentato poche ore dopo davanti alla struttura penitenziaria di Santa Maria Capua Vetere (non in visita ai detenuti, come pure le sue prerogative di parlamentare consentivano) per difendere la Polizia Penitenziaria senza nemmeno aver contezza delle spaventose prove a carico – parliamo di video, di immagini incontrovertibili – degli accusati in divisa.
Un gesto importante, di civiltà. Pensate se vent'anni fa qualcuno avesse fatto la stessa cosa dopo Napoli, dopo Genova. Quel silenzio fu pesante come una colpa. Ma oggi non è come allora: Mario Draghi lo sa e non esita a prendere in mano la situazione, senza paura di «offuscare» la propria immagine che non può significare solo coppe di Wembley e targhe di Wimbledon. Essere Capo del governo significa anche caricarsi del silenzio offeso e duro come un macigno di chi, affidato alla Giustizia per i reati commessi, rimasto senza libertà e diritti, è visto negare tutto, anche la promessa di scontare la pena inflitta senza ulteriori supplizi, come uno Stato di diritto dovrebbe garantire.