Disturbi alimentari in Campania, la storia di Angela: “Potevo morire ma ce l’ho fatta. Ora dateci aiuto”
Grazie alla mobilitazione del movimento lilla, che raggruppa le principali associazioni che si battono per il sostegno delle persone che soffrono di disturbi alimentari, il governo ha rinnovato uno stanziamento di fondi per i centri sanitari regionali per i disturbi alimentari. Arriveranno 10 milioni di euro, sostanzialmente spiccioli quando si parla di sanità pubblica, e di fatto insufficienti per sostenere e soprattutto per ampliare le strutture pubbliche che si occupano della cura di circa 4 milioni di italiani che soffrono di disturbi alimentari.
Al Sud la situazione è ancora peggiore, con alcune regioni come il Molise che non hanno nemmeno un solo centro per i disturbi alimentari. In Campania ce ne sono poco meno di una decina, tra le 7 Asl regionali e gli ospedali di primo livello, troppo poco per un fenomeno che oggi impatta nell'ambito psichiatrico con una mortalità tre volte superiore a quella della depressione e della psicosi. Certo di disturbi alimentari non si muore, ma senza l'accesso tempestivo ai percorsi di cura e riabilitazione il tracollo organico dei pazienti rischia di far sopraggiungere la morte, principalmente per arresto cardiaco a causa dei parametri vitali bassissimi. Angela Russo ha voluto raccontare la sua storia a Fanpage.it, una storia drammatica che ha fortunatamente un lieto fine, ed attraverso la quale proviamo ad indagare sui deficit strutturali dei centri per la cura dei disturbi alimentari.
"Pesavo 18 chili, ero decisa a morire"
Oggi Angela lavora all'orientamento e supporto delle persone affette da disturbi alimentari grazie alla sua associazione, "Mollichine", che ha deciso di fondare quando è finalmente uscita dal tunnel dell'anoressia. "Io ho iniziato a soffrire di disturbi alimentari a 6 anni, in età infantile – racconta a Fanpage.it – avevo subito abusi sessuali da un amico di famiglia e me ne davo la colpa. Volevo rendermi brutta, volevo che chi guardasse il mio corpo ne fosse schifato, quindi iniziai ad ingrassare".
Una violenza tenuta dentro, non espressa, che finisce con il generare un senso di colpa gigantesco che si alimenta con lo sfregio del corpo fino al suo rigetto. "Con l'adolescenza arrivano anche gli atti di bullismo nei miei confronti, non piacevo agli altri e non mi piacevo io – spiega Angela – quindi iniziai a vomitare dopo le abbuffate, ero diventata bulimica. Vomitare è qualcosa che ti ammazza dentro, perché non sei più padrona del tuo corpo. Mi sentivo sporca, mi lavavo ossessivamente iniziai anche a togliermi l'acqua, quindi diventai anoressica. I miei genitori mi portavano nei centri di salute mentale ma io non ero collaborativa, io volevo solo morire".
Una spirale che ti attira verso il basso, nella quale sprofondi ogni giorno di più vedendo l'oblio avvicinarsi sempre di più. In mezzo una famiglia disperata che vorrebbe trovare un modo per aiutare una famiglia ma che non ci riesce. "Io pesavo 18 chili e mezzo, i miei parametri vitali non erano compatibili con la vita, ho rischiato di morire – ci dice – poi uno psichiatra particolarmente volenteroso riuscì a tirarmi fuori quello che avevo dentro". Per Angela è una liberazione. Non senza contraccolpi: la famiglia scoperta la storia degli abusi ricevuti anni prima non si da pace, si colpevolizza, e Angela insieme a loro per non aver raccontato quanto subito.
Provano anche la via legale denunciando il molestatore, ma è passato troppo tempo ed il reato è prescritto. Ma per Angela è l'inizio di una nuova vita. "Il dottore mi capiva, parlava la mia lingua e mi indirizzava alle cure. Così finalmente decisi che volevo vivere e iniziai il mio percorso. Dovevo stare ricoverata per 3 mesi, me ne bastarono 2 e mi rimisi al mondo. Quando tornai a casa chiesi a mia madre cosa aveva cucinato per cena, era l'inizio della ripresa". Ora Angela aiuta gli altri che stanno vivendo il suo stesso inferno, e che devono fare i conti che i pochi fondi statali disponibili a fronte di una malattia che avanza sempre di più.
"Queste persone vanno aiutate"
Nel 2021 per la prima volta vengono stanziati dall'allora governo Conte circa 25 milioni di euro per i centri per i disturbi alimentari da suddividere su base regionale. In Campania arrivano 1,4 milioni di euro, una cifra irrisoria se pensiamo alle spese della sanità pubblica. Utili giusto a dare il minimo indispensabile ai centri nelle Asl e negli ospedali. Si era appena usciti dal Covid, in un periodo in cui era impossibile fare terapia. "Durante il Covid abbiamo avuto diverse perdite – spiega Angela – io ho perso una ragazza che seguivo, era arrivata al pronto soccorso troppo tardi, morì d'infarto ed era anoressica"
Il governo Meloni in un primo momento aveva tagliato i 25 milioni, salvo poi rimetterne a bilancio 10. "Il movimento Lilla è sceso in piazza per ottenere che non ci siano più interventi emergenziali o toppe, ma ci sia una politica strutturale che permetta a tutte le regioni di avere un budget scorporato e vincolato per i centri per i disturbi alimentari" ci spiega Aurora Caporossi dell'associazione "Animenta" del movimento Lilla. "Servono ambulatori e personale specializzato, i 10 milioni non sono abbastanza per coprire l'esigenza di cura che abbiamo qui in Italia" sottolinea. "Sono spiccioli – commenta a Fanpage.it il medico Walter Milano del centro per i disturbi alimentari dell'Asl Napoli 2 – non è che si muore per i disturbi alimentari, si muore se non ci sono delle cure, se non riusciamo a prenderli in carico, se non riusciamo a dare risposte". Una situazione che meriterebbe un investimento pubblico decisamente superiore.
"I centri pubblici sono pochi, a Sud poi si contano sulle dita di una mano, e le liste d'attesa sono lunghissime – dice Angela – e senza fondi come li ampliamo? Come recuperiamo i posti letto come mancano?". La replica del dottor Milano: "Le liste d'attesa non sono lunghe, il problema è che la risposta che riusciamo a dare come sanità pubblica è limitata perché abbiamo risorse limitate e anche spazi fisici dove incontrare le persone che sono limitati". Mentre i dati ufficiali del Ministero della Salute parlano di una diffusione dei disturbi alimentari in costante aumento, i percorsi di cura ed i centri pubblici non vengono rafforzati da una politica nazionale adeguata. Chi lavora nei centri, come quello dell'Asl Napoli 2 del dottor Milano, rappresenta l'ancora di salvezza di ragazzi e ragazze che arrivano alle cure spesso con dei parametri vitali che li pongono ad un passo dalla morte. E' in questi centri che si riportano in vita, gli si restituisce la loro esistenza nelle proprie mani.
"Abbiamo bisogno di un fondo permanente – sottolinea Caporossi – è questa la strada che ci permette l'accesso alle cure e che ci permette che ogni regione possa potenziare il servizio con ambulatori dedicati solo a queste malattie". Un grido di aiuto che non viene solo dai pazienti e dalle famiglie, ma anche dagli operatori sanitari: "Queste persone vanno ascoltate – dice il dottor Milano – abbiamo bisogno di attenzione, questi ragazzi e le loro famiglia devono essere ascoltati e ricevere risposte".