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Discarica di Chiaiano: condannate le ditte, la prescrizione salva gli imputati

Si chiude il processo sulla discarica di Chiaiano: escluso il favoreggiamento della camorra, multe e confische per i Carandente Tartaglia, i tecnici e i responsabili di Ibi e Edilcar.
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La cava di Chiaiano
La cava di Chiaiano

La discarica di Chiaiano fu costruita male, con materiali scadenti, impermeabilizzazione precaria. Fu realizzata in dispregio della legge, del comune buon senso e dello stesso progetto esecutivo, che pure era stato approvato per favorire l’investimento mafioso fatto vent’anni fa dalla famiglia Zagaria e dai suoi sodali Carandente Tartaglia. Una responsabilità penale accertata dalla sentenza emessa oggi, 29 ottobre, dalla prima sezione penale del Tribunale di Napoli (presidente Armonia De Rosa) che, pur tradendo le richieste della pubblica accusa (il pm Antonello Ardituro, che aveva seguito l’inchiesta sin dalle primissime battute), ha confermato nella sostanza quanto emerso nelle indagini tecniche.

La sentenza: escluso favoreggiamento alla camorra

Una dozzina gli imputati nel troncone napoletano del processo,  nel quale è stato escluso il favoreggiamento della camorra e che risulta accertato, invece, a carico del capofila della famiglia Carandente nel troncone celebrato a Santa Maria Capua Vetere e confermato anche in appello. Ritenute provate, invece, la truffa e la frode in pubbliche forniture, pur essendo reati ormai prescritti, così come il traffico illecito di rifiuti e allo smaltimento non autorizzato di rifiuti.

Ma se i componenti della famiglia Carandente Tartaglia (Giuseppe, Franco, Giovani e Mauro), che controllavano la ditta Edilcar; e Vitale Diener, direttore tecnico Ibi; Paolo Viparelli, direttore tecnico Ibi e responsabile della discarica di Chiaiano; Gregorio Chimenz, preposto Edilcar per la discarica di Chiaiano; Pasquale Apicella e Antonio Granozio, fornitori di argilla, se la sono cavata con assoluzioni o condanne mitissime (la più pesante, due anni e quattro mesi, a Giuseppe Carandente Tartaglia, che nel processo parallelo è stato condannato a sette anni per concorso esterno e al quale sono stati confiscati beni aziendali e personali), la penale responsabilità è stata riconosciuta in capo alle imprese, alle quali la Dda di Napoli aveva contestato l’illecito amministrativo: la Ibi Idroimpianti e la Edilcar, entrambe condannate al pagamento di una multa di 51.600 euro. Disposti, infine, la confisca di tutti i beni in sequestro e il riconoscimento dei danni alla parti civili: Comune di Napoli, consiglio dei ministri, ministero dell’Ambiente.

I reati più gravi ormai caduti in prescrizione

La sintesi è che l’inquinamento ci fu, la frode anche così come il danno per la collettività ma che il trascorrere del tempo ha impedito sanzioni più gravi a carico dei responsabili. Tempo che non è indifferente nella ricostruzione di fatti, tra i più drammatici per la Campania, che hanno la loro origine nell’emergenza rifiuti del 2003, che si sono sviluppati durante la seconda, tra il 2007 e il 2009 e che erano stati documenti giudiziariamente nel 2011:  la storia di Chiaiano e della sua discarica, della mancata bonifica e dell’inquinamento strisciante provocato da lavori raffazzonati e superpagati, della collusione tra pezzi dello Stato, imprenditoria nera e camorra che spara.

Dunque, il processo. Una decina le persone a giudizio (tra le quali i fratelli di Giuseppe Carandente Tartaglia) per reati che vanno dall’associazione mafiosa alla frode nelle pubbliche forniture e a numerose violazioni ambientali. Sullo sfondo, la gestione dell’emergenza rifiuti del 2007/2008 e i rapporti organici, strutturali, di cartello tra la potentissima holding criminale del Casertano e gli alleati Mallardo di Giugliano e Polverino di Marano-Quarto.

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Il sistema del trasporto rifiuti

Capofila è la famiglia di Giuseppe Carandente Tartaglia, che ha gestito il trasporto dei rifiuti – anche quelli stoccati ad Acerra – attraverso il consorzio Cgte, sede legale a Caserta e diramazioni in tutta la Campania. La proprietà del Cgte è costituita da quattro imprese: Ecosistem 2001, Educar di Franco Carandente Tartaglia &C., Edil Car e Cete, che a sua volta raccoglie una trentina di ditte, buona parte delle quali inserite nella black list della Procura antimafia.

Negli atti,  il ruolo centrale di Giuseppe Carandente Tartaglia nei rapporti con Fibe-Fisia (e quindi con il commissariato di Governo per l’emergenza rifiuti), che aveva affidato a una delle sue società – la Edil Car – decine e decine di commesse (ne sono state documentate 63) per attività di trasporto, di predisposizione di piazzole, di realizzazione di attività connesse alla gestione dei rifiuti.

L'emergenza rifiuti costruita a tavolino

Socio di fatto di Pasquale Zagaria, fratello del capoclan Michele (arrestato nel 2011 dopo sedici anni di latitanza, condannato all’ergastolo in via definitiva, detenuto al 41 bis) e camorrista a sua volta, Carandente gestiva il comparto in nome della camorra. Trattando direttamente con le istituzioni. In virtù di rapporti antichissimi con uomini dei clan Mallardo, Nuvoletta, Polverino e di quelli più recenti con la famiglia Zagaria, nel processo sammaritano viene descritto come un camorrista a tutto tondo, uomo di mezzo tra Stato e organizzazioni mafiose e mente strategica della pianificazione della seconda emergenza rifiuti, costruita a tavolino e gestita da lui e Pasquale Zagaria con largo anticipo riaspetto all’emergenza, attraverso l’acquisizione di terreni, cave e impianti da destinare allo stoccaggio e allo smaltimento.

La discarica di Chiaiano: costruita male, collaudi falsi

Sconcertanti le modalità di allestimento della discarica accertate dai periti durante le indagini preliminari: impermeabilizzazione non a regola d’arte, argilla in quantità e qualità non adeguata, estratta abusivamente da una cava non autorizzata in località Parapoti Torello di Montecorvino (in provincia di Salerno), stoccaggio del materiale nella discarica abusiva di Giugliano di proprietà dei fratelli Carandente, addensamento e compattazione inadeguati, materassino isolante mancante per larghi tratti. I rifiuti, in sostanza, erano a contatto quasi diretto con la terra. E gli impianti di captazione del biogas? Taroccati. E i collaudi? Ovviamente truccati.

Scriveva il gip nell’ordinanza cautelare che la famiglia Carandente, che aveva ottenuto da Fibe-Fisia il subappalto per la realizzazione e la gestione del sito di Chiaiano, che in realtà era stata creata una vera e propria discarica abusiva, cabina di regia di “un ingente traffico di rifiuti generato da qualsiasi lavoro ottenuto in appalto dalla Edilcar o da suoi danti causa, permettendo ai suoi titolari guadagni e profitti illeciti doppi”.

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Rosaria Capacchione, giornalista. Il suo lavoro di cronista giudiziaria e le inchieste sul clan dei Casalesi le sono costate minacce a causa delle quali è costretta a vivere sotto scorta. È stata senatrice della Repubblica e componente della Commissione parlamentare antimafia.
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