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Crescenzo Marino dal lusso su tiktok al carcere: condannato a 10 anni il figlio del boss

Il figlio del boss Genny Mekkey condannato a 10 anni di carcere; per i giudici era il rampollo del clan egemone nelle Case Celesti di Secondigliano, a Napoli.
A cura di Nico Falco
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Screen dal profilo TikTok di Crescenzo Marino
Screen dal profilo TikTok di Crescenzo Marino

Dal lusso sfoggiato su TikTok al carcere: Crescenzo Marino è stato condannato a 10 anni di reclusione, ritenuto capo e promotore del clan che storicamente gestisce lo spaccio di droga nella zona delle Case Celesti. Ventisette anni, cresciuto a Secondigliano, periferia Nord di Napoli, il ragazzo era stato arrestato nel blitz contro il gruppo di camorra che porta il suo cognome; per gli inquirenti aveva preso le redini del clan, ruolo che gli veniva riconosciuto anche dagli altri affiliati, e si occupava della riscossione dei proventi della vendita di droga.

Crescenzo Marino condannato a 10 anni

Le manette erano scattate nel luglio del 2022. I poliziotti della Squadra Mobile di Napoli avevano eseguito una ordinanza di custodia cautelare per sei persone, tutte ritenute inquadrate nel clan Marino. Le indagini erano partite per catturare Roberto Manganiello, ritenuto figura di vertice del gruppo criminale. L'inchiesta è stata condotta dai pm Maurizio De Marco e Lucio Giugliano, sotto il coordinamento del procuratore aggiunto Rosa Volpe e del procuratore capo Nicola Gratteri; secondo gli inquirenti, Crescenzo Marino aveva avuto un ruolo di primissimo piano nella gestione del clan.

La sentenza di primo grado per il 27enne, anticipa il quotidiano Il Mattino, è stata emessa dai giudici del Tribunale di Napoli (quarta sezione, collegio C). Contro il giovane (difeso dal penalista Luigi Senese) hanno pesato, oltre alle ricostruzioni della Direzione Distrettuale Antimafia, anche le dichiarazioni di due collaboratori di giustizia. Durante il processo di primo grado sono state depositate anche le accuse di due recenti collaboratori: Pasquale Cristiano, alias "Picstic", ex capo del gruppo omonimo di Arzano, e di Salvatore Roselli, detto "Frizione", ex capo del "gruppo dei Sette Palazzi", legato agli Amato-Pagano. L'avvocato difensore di Marino, il penalista Luigi Senese, nel corso del processo ha sostenuto l'assenza di riscontri alle ricostruzioni degli inquirenti e alle parole dei pentiti, facendo leva sulle attività lavorative del ragazzo e sul suo giro di amicizie e frequentazioni, estranee a contesti criminali.

L'articolo del The Times su Crescenzo Marino
L'articolo del The Times su Crescenzo Marino

Chi è Crescenzo Marino, da TikTok al carcere

Il ragazzo è il figlio di Gennaro Marino, detenuto al 41bis e ritenuto boss delle Case Celesti, e nipote di Gaetano Marino, "Moncherino", il capoclan ucciso in un agguato a Terracina il 23 agosto 2012; come il cugino (figlio di Tina Ripoli e Gaetano Marino) porta lo stesso nome del nonno (ucciso in un agguato nel 2005), da cui ebbe origine anche il "patronimico", il soprannome che contraddistingue tutta la famiglia: "McKey", o "Mekkey", che a quanto pare deriverebbe da una somiglianza con l'attore James Arness, che interpretava il personaggio di "Zeb Macahan" in "Alla conquista del West", un vecchio telefilm americano.

Fino a qualche anno fa Crescenzo Marino era praticamente una star di TikTok: sul social network si mostrava come un giovane di successo, tra vestiti costosi, orologi di lusso, automobili potenti e vacanze nei luoghi più alla moda. Eppure, che il contesto da cui proveniva fosse quello camorristico era chiaro: per questo motivo era anche finito in copertina sul Times di Londra, protagonista di un articolo che parlava proprio del "cambio di passo" dei figli dei boss e del loro ostentare ricchezza sui social.

Una dinamica di cui Fanpage.it aveva precedentemente parlato anche con gli interventi di Marcello Ravveduto, docente di Digital Public History alle Università di Salerno e di Modena e Reggio Emilia, è tra i principali studiosi dei sistemi di comunicazione utilizzati dalle organizzazioni mafiose e in particolare dei rapporti tra queste realtà criminali e l'immaginario collettivo.

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