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Così il clan Amato-Pagano non pagava le tipografie: “La Finanza ci ha sequestrato tutto”

Il clan Amato-Pagano imponeva le estorsioni ai commercianti tramite l’acquisto di gadget ai commercianti; in un dialogo intercettato, due indagati parlano del sistema per non pagare la tipografia che li realizzava.
A cura di Nico Falco
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Immagine di repertorio
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Per evitare di pagare le tipografie che producevano i gadget da imporre ai clienti, gli Amato-Pagano avrebbero anche fatto ricorso a dei finti verbali della Guardia di Finanza, simulando che la merce fosse stata sequestrata. Retroscena che emerge dall'ordinanza da 53 misure cautelari (43 in carcere e 10 ai domiciliari) eseguita il 17 dicembre dalla Direzione Investigativa Antimafia e che riguarda il sistema escogitato per imporre il pagamento del pizzo ma mascherandolo da fornitura di prodotti a tema natalizio, come agende e calendari, che i commercianti avrebbero poi regalato ai clienti; in questo caso l'acquisto, obbligato, riguardava cappellini, portachiavi e penne.

I finti sequestri per non pagare le tipografie

I finti verbali vengono citati in alcuni dialoghi intercettati pochi giorni prima del Natale 2022. Luciano De Luca (tra i destinatari dell'ordinanza, misura cautelare in carcere) parla con Vincenzo Nappi (ucciso qualche settimana dopo, il 23 gennaio 2023, in un ristorante di Melito). I due discutono a bassa voce di un verbale che dovrà apparire come redatto dalla Guardia di Finanza e Nappi sottolinea che, senza quello, dovranno pagare; De Luca aggiunge che il giorno prima Enrico Bocchetti (alias Benzemà, anche lui finito in carcere nello stesso blitz) gli aveva chiesto del verbale, e che lui aveva risposto che ci stava pensando "il Babbo", ovvero Nappi. Secondo gli investigatori, evidenzia il gip, il falso verbale serve proprio per non pagare la tipografia.

I gadget imposti ai commercianti

Il sistema dell'imposizione dei gadget natalizi è una delle forme "evolute" del racket, già utilizzato da tempo da diversi clan. Che siano buste di plastica o, come in questo caso, cappellini o calendari, il concetto è semplice: piuttosto che intascare soldi impossibili da giustificare con le classiche estorsioni, gli uomini del clan ricevono denaro in quella che appare come una compravendita lecita. Le vittime, sottolinea il gip nell'ordinanza, sapevano per conto di chi si presentavano quelle persone e sapevano che si trattava della classica offerta che non si può rifiutare. E non era nemmeno consentito consegnare i soldi senza prendere i gadget.

In un dialogo intercettato, uno degli indagati spiega ad un altro le modalità con cui rivolgersi al commerciante: deve ritirare la merce, dice, non può fare "un regalo" perché loro non sono lì a chiedere "elemosina". Se dovesse rifiutarsi, poi, il vademecum prevede un altro chiarimento, paventando una ritorsione: "Non li far venire, i compagni, qua, perché ai compagni ci fa male la testa, tengono altri cazzi da pensare".

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