Cosa ha sbagliato la libreria Mondadori della Galleria Umberto nello slogan in napoletano? Lo spiega l’Auciello di TikTok
L'apertura della nuova libreria Mondadori di Napoli, nella Galleria Umberto a Napoli è uno degli eventi più attesi del prossimo mese di dicembre. Motivo? Si tratta della libreria più grande del gruppo di Segrate. Ma non è solo questo il motivo che fa parlare del nuovo Bookstore Mondadori: sui teloni usati per coprire l'accesso al cantiere è stato stampato uno slogan che ha inevitabilmente attirato l'attenzione dei napoletani. Motivo? È scritto in dialetto napoletano ma in maniera sgrammaticata: «Pecché Napule è comm a cupertin i nu' libro, vir subit chell che ce' sta a for ma no a bellezz che ce' st'arind…».
Apriti cielo: dai Neoborbonici ai tantissimi appassionati del dialetto partenopeo (che molti definiscono "lingua" anche se in realtà non soddisfa i requisiti per essere chiamata tale) shitstorm contro la nuova libreria che non ha nemmeno aperto i battenti.
La domanda è: cosa c'è di sbagliato nello slogan? A parlarne è uno dei personaggi di TikTok più amati da chi apprezza Napoli e il suo vernacolo, una sorta di Liberato del dialetto, poiché non mostra il suo volto a chi lo segue sui social. Il nome è l'Auciello (l'uccello), poco meno di 100mila followers su Tiktok una gran competenza nello spiegare storia, usi e consuetudini del napoletano:
Non è la prima volta che c'è uno slogan pubblicitario in napoletano. Lo hanno fatto Easyjet, Mars, Berna. Ma stavolta c'è polemica poiché il dialetto è tentennante. È vero che non esiste una ortografica unica e standardizzata, ma il napoletano ha una grande tradizione letteraria e ha alcuni princìpi da seguire.
Gli errori più comuni di quella sfortunata "frase ad effetto"? In napoletano la vocale finale non si pronuncia, è sfumata, ma si scrive, quindi ci sta fuori diventa «ce sta fore». «Poi – dice l'Auciello su Tiktok – c'è una cosa che mi fa pensare che ad aver scritto il messaggio sia qualcuno di fuori Napoli». E di che si tratti è presto detto. È la frase «di un libro», tradotta in «i nu libro». «Noi napoletani non usiamo la ‘i' usiamo la ‘e'. La I si usa in altri dialetti campani». «Poi – continua – hanno messo un po' di apostrofi a caso. E dentro si scrive "dinto"».
Infine, la conclusione: «Preferisco quando usano il napoletano, anche male, piuttosto che non lo scrivano per paura di sbagliare. Mi fa sempre piacere vedere il napoletano usato in pubblicità perché è un segno di prestigio e vitalità. Ma da una libreria mi aspettavo un livello più alto».