I miracoli in politica sono un bluff e i bluff devono essere a tempo limitato. Da marzo a luglio tutta la comunicazione di Vincenzo De Luca sulla gestione dell'emergenza Covid si è mossa con questo slogan «abbiamo fatto un miracolo». Poi le elezioni Regionali, stravinte con il 70% dei consensi (21 settembre) e subito dopo un crollo verticale. Chi nasce tondo non muore quadrato: in tutta la sua lunga carriera politica l'ormai ultrasettantenne De Luca si è caratterizzato per il piglio diretto ma anche e soprattutto per la scarsissima attitudine alla concertazione e al dialogo. Fedele al motto «il paese è del paesano», Vincenzo De Luca ha funzionato così da sindaco di Salerno, ma i suoi limiti sono emersi quando è stato nominato sottosegretario e litigava continuamente col suo ministro.
Oggi, con una pandemia in corso, a più riprese è stato chiesto, quasi implorato, a De Luca di non caricare come un toro infuriato chiunque fosse sul suo cammino. Prima il commissario Domenico Arcuri, poi la ministra Lucia Azzolina. Oggi se l'è presa col premier Giuseppe Conte, con il sindaco di Napoli Luigi De Magistris, con lo scrittore Roberto Saviano, col ministro degli Esteri Luigi Di Maio, col consulente del ministero della Salute Walter Ricciardi. E come ogni volta se l'è presa coi giornalisti.
Ieri con le mammine e i figli al plutonio, coi laureati da inseguire col lanciafiamme, con i runner cinghialoni: il vocabolario pittoresco è chiaro e noto. Ma la questione non è l'attitudine alla battuta da bullo. È la continua stoccata a quasi tutto il governo Conte, compresa quella parte che sta gestendo la pandemia, in primis i ministri Roberto Speranza (Salute) e Francesco Boccia (Affari Regionali). È il continuo malcontento perfino nei confronti del Partito Democratico che tutto sommato l'ha sempre sostenuto in questa fase. Mai come oggi De Luca e il segretario nazionale Nicola Zingaretti appaiono su posizioni inconciliabili.
De Luca sostiene di aver ragione su tutto, di aver fatto prima e meglio del governo su tutto: pochi giorni fa era stato Sergio Mattarella che dal Colle aveva chiesto a tutti gli amministratori pubblici di collaborare. In questo scenario, un elemento così disturbante e distopico (visto che la realtà della Campania dei miracoli sul fronte sanitario non esiste) viene semplicemente messo da parte nelle stanze romane in cui si decidono i futuri provvedimenti per fronteggiare la pandemia.
Ieri De Luca aveva annunciato le mini zone rosse, oggi il ministero ha messo tutta la Campania in lockdown. Qualche giorno fa a fronte dei dati sui posti letto ospedalieri comunicati dall'Ente locale, Roma ha mandato i suoi ispettori per vederci chiaro.
Il miracolo è finito, il miracolo non è mai esistito: lo dicono le 26 fitte pagine di numeri dell'ultimo monitoraggio dell'Istituto superiore di Sanità, lo dice la realtà dei fatti che parla di morti nei bagni degli ospedali, di vergognose attese per le ambulanze, di sofferenze in ogni aspetto della sanità pubblica. Tutto si riconduce ad una domanda che non può essere elusa: da marzo ad oggi in Campania cosa è stato fatto per arginare una seconda ondata di Coronavirus?