Chiedi chi erano i “Falchi”. Storia della polizia antiscippo a Napoli
Chi ha vissuto o vive a Napoli nei quartieri popolari, soprattutto in quei vicoli del centro storico ad alta densità criminale, sa che quando si parla di Falchi non ci si riferisce agli uccelli rapaci, ma a quelle squadre di poliziotti in borghese a bordo di grosse moto e scooter che, al pari dei rapinatori e degli scippatori da inseguire, sfrecciano veloci nella matassa di vicarielli partenopei. Sull'argomento intervistiamo Giancarlo Palombi, uno dei cronisti di ‘nera' più attenti non solo ai fatti ma anche alle dinamiche del territorio che setaccia quotidianamente alla ricerca di notizie. Palombi qualche tempo fa scrisse un libro sull'argomento, ‘Ragazzi con la pistola‘ (Rogiosi editore, uscito nel 2018 con una nuova edizione aggiornata) raccontando l'epopea di questi agenti la cui figura è periodicamente invocata ogni qual volta la micro criminalità predatoria prende il sopravvento.
Ci spiega chi sono questi Falchi – che a Napoli chiamavamo anche ‘antiscippo' – ci spiega qual era il loro obiettivo e se esistono ancora come gruppo?
Se volessimo attenerci alla definizione formale dovremmo descrivere i Falchi come “semplici” agenti della polizia che svolgono i loro servizi in abiti civili e in sella a comuni motociclette. La realtà napoletana è ben più complessa. Attualmente i Falchi sono in forza alla VI sezione della Squadra Mobile di Napoli. Il loro impiego è oggi vario, dalle attività di polizia giudiziaria – come indagini sulla criminalità organizzata – al contrasto dei reati predatori. Quando la sezione fu fondata nei primi anni Settanta lo scopo era quello di reprimere l’escalation di scippi e rapine. In una Napoli dove vicoli e rioni spesso rappresentano il terreno di battaglia naturale per i delinquenti, lo Stato pensò di catapultare giovanissime guardie di pubblica sicurezza (la polizia era ancora “militarizzata”), provenienti da altre regioni d’Italia e sottoposte ad un rigido addestramento nella guida di moto al Caps di Cesena. L’idea vincente fu quella di porre come antagonisti ai delinquenti di strada ventenni che parlassero lo stesso linguaggio, che vestissero allo stesso modo. Giovani pronti a tutto pur di far vincere allo Stato la battaglia contro l’illegalità. Non era solo una guerra tra guardie e ladri. Fu una battaglia sociale, generazionale. Una battaglia tra i figli della povertà dei vicoli e i “ragazzi di Valle Giulia”.
Senta, i cosiddetti ‘antiscippo’ erano considerate figure leggendarie, sbirri con lo schiaffone facile, alla Tomas Milian. Nella sua ricostruzione sono emerse storie del genere?
Tutt’altro. Nel mio viaggio, fatto di testimonianze e racconti, ho cercato di spogliare la figura del ‘falco’ dal vestito mitologico frutto anche di una produzione cinematografica notevole, basti pensare ai b-movie de “Er Monnezza” e di Maurizio Merli. Uomini semplici, spesso alimentati da una voglia di riscatto sociale. Persone umili che credevano in qualcosa. Ragazzi pescati dalle periferie degradate. Ultimi a cui lo Stato aveva dato soprattutto un’identità, un onore e un onere. Per loro, per i personaggi descritti nel mio libro, fare il poliziotto non era solo un lavoro. Significava essere un poliziotto. Essere un falco era ancora di più.
Intorno ai falchi si è creata una forte comunità che anche su Facebook ricorda gesta e ‘operazioni’ di polizia particolarmente avventurose. Ne ricorda qualcuna?
Più che un’operazione vorrei ripercorrere uno dei fatti di cronaca che hanno segnato la storia italiana. Un episodio sul quale c’è ancora tanto, troppo mistero. Tra due settimane ricorrerà l’anniversario dell’omicidio di Antonio Ammaturo, capo della Squadra Mobile di Napoli ucciso – si disse – dalle Brigate Rosse in piazza Nicola Amore. In una lettera di rivendicazione firmata dalle Br il suo autista veniva definito “fedele cane da guardia”. Questa frase potrebbe rivelare un falso storico. Pasquale Paola, il poliziotto assassinato quel giorno assieme ad Antonio Ammaturo, era un falco. Quella mattina, come accadeva ogni giorno, osservò nella stanza al piano ammezzato della questura di Napoli il foglio di servizio. Aveva pronte tra le mani la radio e la palina, convinto di uscire di pattuglia in moto come aveva sempre fatto. Si ritrovò “a disposizione del vicequestore aggiunto Ammaturo dottor Antonio”. Autista per caso, potremmo dire. Un dettaglio che stride con quanto riportato dalle Br nella lettera di rivendicazione. Nel giorno dei funerali di Stato nella Basilica di Santa Chiara l’uscita del feretro su cui erano state poggiate radio e palina di servizio fu accompagnato dal rombo dei motori delle moto dei colleghi.
Ci sarebbe bisogno del ritorno di queste figure in strada a Napoli vista la criminalità predatoria, scippi, rapine di Rolex e di auto, di scooter eccetera?
Non parlerei di ritorno. I falchi ci sono e lavorano anche bene, considerati i numeri. Ciò che è cambiata è la prospettiva della politica della sicurezza. Negli anni Settanta quando fu fondata a Napoli la sezione dei falchi in giro potevano contarsi quasi trenta pattuglie, ovvero sessanta agenti. Le Volanti, ovvero le auto, erano molto di meno e questo in virtù di un territorio che dal punto di vista urbanistico non favorisce l’uso di veicoli a quattro ruote. La politica era “se il criminale delinque in sella a due ruote noi lo contrastiamo con gli stessi mezzi”. Oggi l’attenzione mediatica a mio avviso impone regole diverse. Auto con colori d’istituto in mostra, nuove uniformi, lampeggianti. Il deterrente visivo sembra vincere sul tradizionale controllo del territorio. E i numeri, in termini di uomini, di certo non aiutano.