Chiama i carabinieri con il cellulare: “Aiuto, mi minacciano”. Ma è detenuto a Poggioreale

Una storia paradossale quella che arriva dal carcere napoletano di Poggioreale e raccontata dal Sindacato di Polizia Penitenziaria (SPP): un detenuto ha telefonato ai carabinieri, denunciando di aver subito delle minacce, grazie a un cellulare introdotto illecitamente nella sua cella. La vicenda è stata raccontata da Aldo Di Giacomo, segretario generale del sindacato, da giorni impegnato in uno sciopero della fame per denunciare la gravità della situazione nelle carceri italiane: "Un detenuto di Poggioreale nella serata di ieri ha telefonato dalla cella a carabinieri e al Garante dei detenuti per segnalare di ‘aver subito minacce', non si sa bene da chi" ha spiegato Di Giacomo. "Siamo di fronte a un caso eclatante e gravissimo – afferma ancora Di Giacomo – della diffusione di telefoni cellulari a Poggioreale come in tantissimi istituti del Paese che provocano gravi pericoli. Si pensi all’uso che ne fanno i capoclan e i più pericolosi criminali per impartire ordini agli uomini dei clan sui territori oppure come riprovano tanti episodi di cronaca per minacciare cittadini e persino compiere estorsioni".
"È del tutto evidente – continua il segretario generale del SPP – che non basta aver inserito, dall’ottobre 2020, il reato per chi introduce o detiene all’interno di un istituto penitenziario telefoni cellulari o dispositivi mobili di comunicazione, a differenza del passato quando era derubricato a semplice illecito disciplinare. Servono pene più severe perché chi introduce il cellulare se la cava con una sanzione amministrativa o con pene irrisorie e chi lo usa non ha nulla perdere. Sarebbe sufficiente innalzare nel minimo a quattro anni la pena in modo da disincentivare seriamente il fenomeno. L’alternativa per lo Stato è dotare di ogni cella di un comodo impianto telefonico tanto per contribuire al clima, per boss e capi clan, da albergo a quattro stelle".
Il garante dei detenuti: "Tema carceri assente dai programmi"
Sul tema delle carceri interviene Samuele Ciambriello, Garante campano dei diritti delle persone sottoposte a misura restrittiva della libertà personale, che in vista della tornata elettorale rivolge un appello alla politica: "Tema assente dai programmi politici".
Ecco l'appello di Ciambriello alla politica:
Mi dispiace tanto constatare che il tema del carcere e quello della giustizia non sia la priorità di alcuno schieramento, anzi sono temi pressoché assenti. Io ritengo che la politica non può non accogliere l'esigenza di restituire dignità a chi ha sì sbagliato, ma sta pagando per quell'errore. Ritengo che i candidati debbano varcare le porte del carcere: ascoltare storie, esperienze, disagi, ingiustizie, fa accorciare le distanze, ridurre l'indifferenza. Il carcere esiste, non è e non può diventare una discarica sociale.
L'emergenza sanitaria "ha triplicato i problemi in carcere: il disagio di detenuti, degli agenti di polizia e di tutti gli operatori penitenziari è certamente aumentato. La politica perché non pensa a provvedimenti seri di ristoro per loro?
Mi aspetto che qualcuno dei candidati decida di spendere qualche ora del proprio tempo per visitare gli istituti di pena durante questa campagna elettorale e dire pubblicamente quale strategia lungimirante mettere in campo per migliorare la vita nelle carceri, depenalizzare i reati minori ed investire in misure alternative al carcere. Candidati, dimostrate, insomma, che del carcere e della giustizia vi interessa", conclude il garante campano.