Campi flegrei, c’è un serbatoio di fluidi magmatici a 2,5 km di profondità: il nuovo studio sul vulcano
Nel vulcano dei Campi Flegrei ci sono serbatoi di fluidi magmatici a 2,5 e 3,5 km di profondità, che "rivelano un accumulo prevalente di fluidi in sovrapressione". Non si tratta di magma, quindi, è bene precisare, ma di fluidi generati dal degassamento di un magma in profondità. Mentre il serbatoio di magma, invece, è a 5 km di profondità. È quanto emerge dal nuovo studio – "Tracking transient changes in the plumbing system at Campi Flegrei Caldera" – pubblicato dall'Ingv, l'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, oggi, martedì 14 maggio 2024. Con un metodo assolutamente innovativo, gli scienziati (Giacomuzzi, G., Chiarabba, C., Bianco, F., De Gori, P. and Piana Agostinetti, N.) sono riusciti a “vedere” la struttura interna della caldera.
Il nuovo studio dell'Ingv svela la struttura della caldera dei Campi Flegrei
Il nuovo studio ha consentito di ottenere immagini dettagliate della struttura e del livello di fratturazione delle rocce della caldera dei Campi Flegrei tramite l’analisi della variazione nel tempo della velocità delle onde sismiche. Ma anche di investigare le caratteristiche principali del sistema di alimentazione vulcanico e i principali cambiamenti tra l’instabilità (unrest) o bradisismo in corso e il fenomeno accaduto tra il 1982 e il 1984.
Lo studio è stato condotto da un team multidisciplinare di ricercatori dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) e dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca, ed è stato pubblicato su Earth and Planetary Science Letters di Elsevier. Si tratta del primo studio di tomografia sismica che integra la microsismicità avvenuta ai Campi Flegrei nell’arco di quarant’anni, dal 1982 al 2022.
Usato un nuovo metodo probabilistico
I ricercatori hanno utilizzato una tecnica basata su un approccio probabilistico non lineare alla risoluzione del problema tomografico, analizzando il rapporto tra la velocità delle cosiddette onde P (prime o di pressione) e il loro rapporto con le cosiddette onde S (seconde o di taglio). Questo metodo innovativo ha permesso di far luce sulle caratteristiche della velocità crostale fino alla profondità di 6 km, dove le tradizionali tecniche linearizzate hanno sempre mostrato limiti di risoluzione.
"Individuate per la prima volta tre zone di accumulo"
L’uso di questo metodo, inoltre, ha permesso di individuare per la prima volta tre principali zone di accumulo di materiale magmatico sotto l’area risorgente, corrispondenti alle sorgenti delle deformazioni bradisismiche. Mentre i serbatoi centrali, localizzati a 2.5 e 3.5 km di profondità, rivelano un accumulo prevalente di "fluidi in sovrapressione", il serbatoio più profondo, localizzato a 5 km, mostra valori di velocità coerenti con un accumulo di magma.
Importante elemento innovativo del metodo studiato è la possibilità di individuare le principali variazioni nel tempo delle anomalie di velocità e, quindi, dell'evoluzione delle zone di accumulo di materiale magmatico. Ciò è stato possibile grazie all’intuizione del team di ricercatori che ha sviluppato in maniera pionieristica il metodo di tomografia sismica in 4 dimensioni (spazio e tempo).
Con le due crisi bradisismiche '82-'84 e 2005-'22 c'è stata risalita di gas magmatici
I risultati mostrano che i due episodi analizzati di unrest del 1982-1984 e dal 2005 al 2022, seppur coinvolgendo volumi differenti, sono stati entrambi caratterizzati da episodi di risalita e di accumulo nella zona centrale prevalentemente di gas magmatici in sovrappressione e in profondità di magma, suggerendo che entrambi questi processi svolgono un ruolo importante nell’indurre l’unrest calderico.
Questo approccio può rivelarsi un utile strumento per monitorare nel tempo l’evoluzione del sistema di alimentazione magmatica della caldera e la volontà dei ricercatori è di estendere quanto prima il modello probabilistico anche agli anni successivi al 2022.
Il link allo studio dell'Ingv sulla struttura della caldera del vulcano dei Campi Flegrei