Camorra e benzina, i soldi delle truffe investiti in bitcoin. Sequestrati 150 milioni di euro alla rete di riciclaggio
La Guardia di Finanza ha sequestrato beni per 150 milioni di euro tra Campania, Lazio ed Emilia Romagna a quella che viene ritenuta la rete di riciclaggio di due distinti gruppi che operavano nel settore delle truffe sugli idrocarburi; tra gli 11 indagati anche un commercialista, già arrestato in una precedente inchiesta, e un Sindaco del Beneventano. Secondo la ricostruzione degli inquirenti la truffa sarebbe avvenuta tramite "società cartiere", ovvero società fasulle nate al solo scopo di produrre finti documenti, avrebbero evaso Iva e accise tra il 2015 e il 2021. Nel meccanismo, avevano provato le precedenti indagini, erano coinvolti anche i clan Formicola e Silenzio, con roccaforte nella periferia orientale di Napoli.
Per gli inquirenti c'era il concreto rischio che gli indagati facessero sparire i soldi attraverso operazioni su conti esteri, la costituzione di trust e le fittizie intestazioni a prestanome; dalle indagini è emersa inoltre la possibilità che il denaro venisse investito in bitcoin.
Sequestrati beni per 150 milioni, 11 indagati
Tra gli 11 indagati figura anche Tommaso Nicola Grasso, sindaco di Campoli del Monte Taburno (Benevento), uno degli amministratori di fatto della Petrolifera Italiana, la società ritenuta collegata ai due clan di Napoli Est; al politico viene contestato il reato di trasferimento fraudolento di valori: avrebbe intestato fittiziamente parte del patrimonio immobiliare ai figli minorenni per eludere i sequestri. Indagato anche Luigi De Maio, commercialista di Torre Annunziata (Napoli), secondo le accuse in rapporti coi vertici dei due clan di camorra e già arrestato nel filone di Reggio Calabria dell'operazione Petrol Mafia.
L'operazione è scattata questa mattina, 16 novembre, e ha coinvolto i Nuclei di polizia economico-finanziaria della Guardia di finanza di Napoli, Trieste e Frosinone, in collaborazione con il Servizio Centrale di Investigazione sulla Criminalità Organizzata. Gli undici indagati sono accusati, a vario titolo e anche in forma associativa, di plurimi reati tributari, false comunicazioni sociali, trasferimento fraudolento di valori e autoriciclaggio. Per 6 degli indagati i reati sono aggravati dalla finalità di agevolare i clan Formicola e Silenzio di Napoli Est e per un altro dall'aver commesso il fatto nell'esercizio dell'attività di consulenza fiscale.
Le indagini su mafia e petroli
Le indagini che hanno portato al provvedimento hanno fatto luce sui meccanismi di frode realizzati tra il 2015 e il 2021 nel settore degli idrocarburi, nel quale negli ultimi anni sono emersi anche coinvolgimenti del clan Moccia, dei Mazzarella e della ‘ndrangheta; il sistema utilizzato era quello delle società "cartiere", attraverso le quali venivano evase sia l'IVA sia le accise e si potevano quindi applicare prezzi competitivi ai consumatori finali.
Tra i beneficiari principali della frode c'è una società di Napoli che, secondo le indagini, era gestita di fatto da elementi di spicco dei clan Formicola e Silenzio, uno dei quali già destinatario di una misura di prevenzione patrimoniale antimafia.
Gli amministratori di diritto o di fatto di questa società vengono accusati anche di autoriciclaggio, perché avrebbero impiegato flussi di denaro provenienti da una società cartiera, e di falso in bilancio, perché avrebbero nascosto ammanchi, che avrebbero portato ad una riduzione del capitale sociale, facendo risultare una situazione di solidità patrimoniale e affidabilità creditizia fasulla.
Le caratteristiche delle società cartiere
Le società interposte nella filiera commerciale, hanno appurato gli investigatori, avevano le caratteristiche tipiche di quelle inesistenti, utilizzate per questo genere di truffe:
- come rappresentanti legali venivano scelti nullatenenti, con precedenti di polizia e senza esperienza imprenditoriale, che per ricoprire quel ruolo venivano pagati dai promotori del sodalizio;
- l'operatività era limitata nel tempo, per evitare le ispezioni;
- non c'erano sedi, depositi, dipendenti o mezzi aziendali;
- non venivano assolti gli obblighi contabili, dichiarativi e di versamento delle imposte;
- quando arrivavano controlli fiscali o giudiziari, le attività cessavano e le società venivano sostituite da altre con le stesse caratteristiche.