Bufale connection: viaggio nella presunta epidemia che sta distruggendo il settore della mozzarella Dop
La mozzarella è il quarto prodotto italiano più conosciuto al mondo, ha un giro d'affari stimato in 600 milioni di euro all'anno, che arriva ad 1 miliardo di euro con l'indotto. La mozzarella di bufala campana DOP, prodotta esclusivamente con un latte che deve venire da Campania, da alcune province del Lazio, della Puglia e del Molise, è uno dei prodotti di eccellenza italiana. Negli ultimi anni, solo nella provincia di Caserta, dove si concentra il 66% della produzione di mozzarella di bufala dop, una presunta epidemia di brucellosi e tubercolosi ha messo in ginocchio il settore. Secondo i dati raccolti dagli allevatori sono circa 140 mila le bufale abbattute a causa delle malattie. L'inchiesta "bufale connection" di Fanpage.it dimostra i punti oscuri di un fenomeno dove c'è chi resta in ginocchio, come gli allevatori, e chi ci guadagna tanti, ma tanti soldi.
I dubbi sulla diagnosi della malattia: il test è sperimentale
La brucellosi è una malattia che può provocare aborto, far ridurre o addirittura eliminare il latte nelle bufale, può accadere che una persona che beva quel latte infetto possa contrarre la malattia. La tubercolosi è un'infezione che nel bufalo e nel bovino può portare anche alla morte e si trasmette attraverso il latte. Su questa base gli animali che risultano infetti ai testi disposti dall'Istituto Zooprofilattico per il Mezzogiorno vengono mandati al macello. Ma sulla reale portata della malattia gli allevatori hanno seri dubbio. È il caso delle bufale del principe Mariano Hugo di Windish – Graetz, uno degli allevatori della provincia di Caserta. "Quando le ASL sono venute a fare i controlli in azienda – spiega a Fanpage.it – hanno riscontrato 64 bufale infette di tubercolosi. Di queste una parte sono state mandate immediatamente al macello. Ma nelle analisi post mortem le bufale sono risultate tutte negative alla tubercolosi. Ho capito che c'era qualcosa che non andava".
Il principe ha deciso di non abbattere i restanti animali e di portare il caso davanti al TAR prima e al consiglio di stato poi. E la giustizia gli ha dato ragione, evidenziando un enorme limite nel metodo diagnostico utilizzato dall'Istituto Zooprofilattico per il Mezzogiorno. L'avvocato Antonio Sasso, che ha difeso diversi allevatori, ha scoperto i limiti del kit utilizzato per la diagnostica della tubercolosi, il Bovigam."È prodotto dalla ThermoFischer, un'azienda svizzera – spiega Sasso – ma il Bovigam è in fase sperimentale, è stato accertato anche davanti al giudice del tribunale amministrativo". È la stessa Thermo Fischer a comunicare che il Bovigam è in fase sperimentale sulla bufala mediterranea, mentre è da considerarsi certo solo per il bufalo africano.
A confermarlo è anche il professor Vincenzo Caporale, che in passato ha guidato la commissione dell'OIE, il massimo organismo della sanità mondiale animale, che stabiliva proprio i metodi diagnostici. "Il Bovigam non può essere usato come test certo sulle bufale mediterranee", spiega a Fanpage.it. Siamo andati a chiedere delucidazioni ad Antonio Limone, direttore generale dell'IZSM di Portici, che ha autorizzato l'uso del Bovigam. "Con la nostra sperimentazione abbiamo smentito anche la Thermo Fischer", esordisce Limone. Ma quando gli facciamo notare che l'OIE non ha mai validato l'uso di questo test sulle bufale mediterranee, il direttore dice di averne le prove. "Diamogli i documenti che l'OIE sta approvando il metodo e chiudiamo questo nodo" dice Limone a Esterina Di Carlo, direttrice sanitaria dell'Istituto. Ma i documenti forniti a Fanpage.it da Limone e dalla Di Carlo sono solo una mera valutazione fatta dalla Termo Fischer sulle sperimentazioni fatta nell'uso del Bovigam dall'Istituto e non una validazione ufficiale dell'OIE.
Già, perché l'unico documento dell'OIE sul Bovigam è la valutazione del test per la tubercolosi nel bufalo africano, quindi non nel bufalo mediterraneo. "Nessuno può affermare che il Bovigam sia stato valutato come richiesto dalla regole europee" sottolinea il professor Caporale. "L'uso di un test che può essere fallace determina l'abbattimento di animali completamente sani", gli fa eco l'avvocato Sasso. Insomma, i numeri dell'epidemia potrebbero essere viziati da un test, autorizzato da Limone e dall'IZSM, che non può considerarsi certo.
E sulla brucellosi le cose non vanno meglio. Come già spiegato, la brucella è presente nel latte, quindi colpisce bufale femmine che producono latte dopo aver partorito. Abbiamo incontrato il gestore di un macello privato della provincia di Caserta, che ci ha raccontato cosa è avvenuto nella sua struttura. "Mi chiamano perché hanno fatto delle analisi su dei capi e dicono che hanno la brucella nel latte – ci dice – avvisano la task force e danno ordine di abbattimento dei capi. Ma al mio macello arrivano due tori che non producono latte, e tre giovenche che non hanno mai partorito. Non potevano avere la brucella nel latte perché non producevano latte!". Il numero dei falsi positivi dunque potrebbe assumere, in queste condizioni, delle proporzioni davvero impressionanti.
Le bufale diventano scatolette di carne: il ruolo di Cremonini
Come prevede la legge le bufale abbattute, private degli organi infetti, vengono macellate e le loro carni regolarmente immesse sul mercato. Come ci testimoniano gli stessi allevatori, la stragrande maggioranza dei capi da macellare finisce in un solo stabilimento, quello della Real Beef di Flumeri in provincia di Avellino, che appartiene al Gruppo Cremonini, un colosso mondiale della carne, che produce, tra la altre cose, le scatolette di carne Montana.
La legge stabilisce che le bufale infette non possono essere spostate se non per andare al macello, che deve essere quello più vicino. Eppure le bufale mandate al macello dalla provincia di Caserta viaggiano per 100 Km fino all'estrema provincia di Avellino, al lato opposto della Regione, per essere macellate. Perché? A darci una testimonianza è innanzitutto il nostro imprenditore del settore: "Io ho provato più volte a dire che devono essere macellate in provincia di Caserta, ci sono 3 macelli, ma niente vanno tutte a Flumeri da Cremonini e diventano carne Montana. Ma noi in questo modo non stiamo più sul mercato, io non macello più. Prende tutto Cremonini, così saremo costretti a chiudere. Il giro di Cremonini è un giro di miliardi".
Contattato da Fanpage.it, il Gruppo Cremonini ha deciso di non rilasciare in merito interviste, ma ci ha scritto che nello stabilimento di Flumeri non viene prodotta la carne Montana. Eppure il documento ambientale di prodotto delle scatolette di carne Montana, consultabile e scaricabile proprio sul sito delle note scatolette, dice che nello stabilimento di Flumeri viene prodotta la carne Montana. Con una ulteriore precisazione inviata a Fanpage.it solo dopo l'uscita dell'inchiesta "Bufala Connection" il gruppo Cremonini ha precisato che nello stabilimento di Flumeri viene fatta solo la macellazione dei capi, mentre la trasformazione in scatolette di carne avviene in altro stabilimento con la stessa materia prima. Pochi mesi fa lo stabilimento è stato visitato dal presidente della Regione Campania Vincenzo De Luca e dal direttore dell'IZSM Antonio Limone.
A Limone abbiamo chiesto perché le bufale da abbattere devono viaggiare per 100 Km e non possono essere macellate nello stabilimento più vicino. Il direttore ha precisato: "L'idea che la visita in quel macello da parte mia e di De Luca potesse significare un vantaggio rispetto alla macellazione è una fandonia. Quale interesse posso avere io?". Abbiamo fatto notare al direttore Limone che la domanda era tutt'altra: perché le bufale che vanno a morire sono macellate a 100 Km di distanza dalla provincia di Caserta? "Il macello di Flumeri ha avuto una funzione importante perché è molto grande, ma se ce ne sono altri più vicini capaci di macellare io li preferisco" dice Limone. Eppure ce ne sono 3, ma questo evidentemente Limone non lo sa. O non lo vuol vedere. "Così si alimenta il businness di Cremonini – ci spiega il gestore del macello casertano – è un combriccola, è un sistema".
Meno bufale ma più latte: la truffa dell'importazione dall'estero
L'impatto della presunta epidemia sta decimando gli allevamenti del Casertano. Secondo i dati forniti a Fanpage.it dal NAS dei Carabinieri, dal 2017 al 2020 il parco bufale della provincia di Caserta registra 8 mila capi in meno e 153 allevamenti hanno chiuso definitivamente i battenti. Eppure i dati del Consorzio di Tutela della mozzarella di bufala dop ci dicono che negli ultimi anni si sono prodotti 13 mila litri di latte di bufala in più, destinato alla produzione di mozzarella dop. Come è possibile che con meno bufale ci sia più latte?
La truffa è dietro l'angolo, come ci spiega il titolare di un caseificio di cui tuteliamo l'identità. "Se ci sono meno bufale e meno latte e non voglio diminuire la produzione io ho solo una alternativa: andare a comprare la cagliata congelata in Romania o in Bulgaria". L'importazione di latte di bufala dall'estero è consentita ma è illegale mischiare latte di bufala estera e latte di bufala prodotto in area dop per produrre mozzarella di bufala dop.
Una truffa spesso scoperta anche dai Carabinieri del Nas di Caserta come ci spiega luogotenente Giuseppe Di Vico: "Esiste questo tipo di frode – spiega a Fanpage.it – d'altronde se non c'è la presenza di un ufficiale di controllo sulla catena di produzione è chiaro che l'operatore può far quello che vuole". D'altronde è inimmaginabile andare a controllare ogni catena di produzione della mozzarella dop per verificare se mischiano il latte estero con quello del territorio, contando che la mozzarella dop non si conserva, viene venduta e consumata in poche ore. La truffa, quindi, logisticamente, è semplicissima.
Il consorzio di tutela della mozzarella di bufala dop tutela il prodotto ed è costituito da una serie di aziende del territorio. Pier Maria Saccani è il direttore del consorzio: "Nel 2017 all'unanimità abbiamo proposto che nei caseifici che fanno la dop entri solo latte dop. È una proposta di modifica del disciplinare, poi dovete chiedere al Ministero perché la proposta non sta andando avanti". Ma, quando gli chiediamo se già oggi le aziende consorziate si impegnano ad acquistare solo latte proveniente dalle zone dop, ci dice: "Oggi le regole non sono queste".
Fanpage.it è in possesso di un documento di acquisto di una cagliata di bufala congelata dalla Bulgaria da parte di un'azienda che fa parte proprio del consorzio di tutela. Il documento risale al febbraio 2020. Come ribadito l'importazione non è un reato, ma di sicuro è un campanello d'allarme."Io denuncio anche i miei – sottolinea Saccani – ma con il sistema di controlli è difficile fare truffe". Perché è così pericoloso il latte di bufala importato? Ce lo spiega Rosaria Capacchione, giornalista esperta di crimine organizzato: "Se questa cagliata importata dall'estero è stata scongelata e ricongelata, se è stata trattata con additivi, noi non lo sappiamo – spiega – le regole sanitarie sono molto diverse dal nostro paese e di cosa c'è in quella cagliata congelata non sappiamo quasi nulla anche perché si tratta di un mercato semi clandestino". Dunque, se il latte non c'è perché le bufale vengono abbattute a migliaia a causa della presunta epidemia, l'uso di latte estero, in violazione delle leggi, potrebbe essere una soluzione a portata di mano per non far fermare la giostra dell'industria della mozzarella che produce milioni di euro.
Il vaccino potrebbe salvare gli animali ma la Regione Campania è No Vax
Le bufale vengono abbattute, l'industria del latte trova espedienti, quella della carne vede aumentare il giro d'affari. Intanto gli allevatori sono sul lastrico e a pagarne il prezzo più alto sono gli animali che muoiono. Ma come si può fermare tutto questo? Con il vaccino. Semplice. Ma in questo caso le istituzioni locali si dimostrano degli strenui sostenitori No Vax. "Il programma di vaccinazione in Campania c'è già stato dal 2008 al 2013 – ci spiega Adelaide Noviello una giovane allevatrice – poi è stato interrotto per volontà dell'Istituto Zooprofilattico".
Una scelta, quella dell'istituto diretto da Limone, che il professor Caporale critica apertamente: "Hanno abbandonato le vaccinazioni nel 2013 dicendo che avevano raggiunto un tale livello di sanità degli allevamenti che la vaccinazione era superflua. Ma io gli dissi che stavano facendo un errore, le brucellosi è continuata a crescere" spiega. Il primo no vax per le bufale è proprio lo stesso Limone, finito da tempo sul banco degli accusati come principale responsabile del disastro. D'altronde, il piano di eradicazione della malattia messo a punto dall'Istituto di Limone non funziona, questo è evidente, il risultato sono 140 mila capi abbattuti e una epidemia che non si arresta, al netto delle polemiche sul dato dei falsi positivi e sui metodi diagnostici, contestati anche dalla magistratura oltre che dai veterinari e dagli allevatori.
"Io non sono uno stragista – spiega Limone – bisogna chiedere agli allevatori se vogliamo davvero eradicare la malattia". Limone accusa gli allevatori di avere stalle con basso livello di igiene che favorisce la diffusione della malattia. E sul vaccino conferma il suo no: "L'introduzione della vaccinazione per eradicare la malattia ritengo che non sia la strada migliore – spiega – perché avremmo un riflesso sull'economia e sul mercato importante, poichè il latte che proviene da allevamenti vaccinati sarà sicuramente deprezzato". Eppure la storia racconta il contrario di quello che dice Limone. Secondo i dati del consorzio di tutela della mozzarella di bufala dop, negli anni in cui si è svolto il primo piano di vaccini per le bufale campane, dal 2008 al 2013, non c'è stata alcuna flessione del mercato, anzi la vendita di mozzarella di bufala dop è aumentata.
"È assolutamente chiaro che un allevamento vaccinato è meglio di un allevamento infetto – sottolinea il professore Caporale – sicuramente gli allevamenti vaccinati sul piano della produttività e delle garanzie di salute pubblica possono essere migliori di come siano ora". Lo scontro tra allevatori e Istituto zooprofilattico è proprio su questo: sul vaccino per le bufale. Da un lato un settore in crisi drammatica, dall'altro un'istituzione che non vuole il vaccino e che parla di presunti contraccolpi economici che non trovano riscontro. "È come per il Covid – ci dice la Noviello – se esiste il vaccino per tutelarci dal Covid non vedo perché non ci autorizzano al vaccino per la brucellosi nelle bufale". "Non voglio pensare a loschi intrighi, perché parliamo di centinaia di milioni – conclude Windish – Graetz – ma è chiaro che se succedono queste cose nel sistema c'è qualcosa che non va. Mi viene sempre il sospetto che dietro ci sia qualcosa di marcio, ci auguriamo che la magistratura faccia luce su questa vicenda".
(articolo aggiornato 13 aprile 2023)