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Bimbo di 11 anni suicida, l’ultimo messaggio alla madre: “Devo seguire l’uomo nero col cappuccio”

Gli inquirenti stanno cercando di fare luce sulla morte del bambino di 11 anni che, martedì notte, si è lanciato dal suo appartamento al decimo piano. Il piccolo pochi istanti prima aveva inviato un messaggio alla madre, scusandosi e parlando di un “uomo nero”: l’ipotesi è che sia stato spinto a suicidarsi da qualcuno che potrebbe averlo manipolato sfruttando una challenge sul web.
A cura di Nico Falco
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Un ultimo messaggio composto da poche parole, dal contenuto sibillino. Le scuse per il gesto che stava per compiere, poi quel riferimento che ha fatto sgranare gli occhi agli investigatori: un "uomo nero" non meglio definito, che in qualche modo avrebbe determinato quel salto nel vuoto, dal decimo piano del palazzo in cui abita, in una zona prestigiosa della città di Napoli. Una figura che potrebbe averlo manipolato o terrorizzato a tal punto da spingerlo al suicidio. Resta tutta da chiarire la storia del bambino di 11 anni che nella notte di martedì si è lanciato dalla finestra della sua abitazione, a Napoli; la Procura di Napoli ha aperto un'inchiesta, si indaga per istigazione al suicidio.

Da quanto emerso il bambino aveva una vita apparentemente tranquilla, era integrato con i coetanei e praticava sport. Il piccolo si è ucciso poco dopo la mezzanotte, mentre i genitori dormivano. Ad escludere la caduta accidentale c'è proprio quel messaggio, inviato sul cellulare della madre pochi minuti prima: "Ti amo ma ora ho un uomo incappucciato davanti e non ho tempo". Sull'identità di questo "uomo incappucciato" stanno febbrilmente lavorando gli inquirenti, per capire se si tratti di una persona reale, magari nella cerchia di conoscenze del bambino, o di una entità virtuale, saltata fuori dalle pieghe di Internet o dai meccanismi perversi di una delle tante challenge nate sui social che spaventano i ragazzini giovanissimi.

Ipotesi: web challenge mortale

L'ipotesi di una challenge online resta al momento tra le più accreditate, ma anche questo è un campo scivoloso, molto. Una fitta boscaglia dove prendono vita i personaggi delle Creepypasta, la versione Internet delle leggende metropolitane, che terrorizzano i più giovani. Che si chiamino Momo, Jonathan Galindo o Slender Man, le segnalazioni arrivate alla Polizia Postale sono infinite. Il più delle volte si tratta di persone che, sfruttando la leggenda web, si limitano a spaventare il malcapitato di turno: basta una richiesta di amicizia, una foto sul telefonino per convincere un bambino di essere finito nel mirino di quell'entità misteriosa.

Chi è Jonathan Galindo, l'ultima challenge sui social

Premessa fondamentale: Jonathan Galindo non esiste. Non è una persona reale. Piuttosto, è possibile che ci siano diverse persone che, dietro questa finta identità, possono agganciare bambini e giovanissimi per spaventarli. Le fotografie che girano, e che ritraggono una sorta di Pippo della Disney in versione horror e sicuramente disturbante, sono state in realtà rubate: erano state pubblicate anni fa dal make up artist Samuel Canini, assolutamente estraneo a questa storia, che per farsi pubblicità per la sua professione aveva creato nel 2012 questa sorta di maschera e aveva pubblicato le foto col nickname Duskysam.

Poi le foto sono finite in Internet e sono state usate per dare forma all'ennesima identità virtuale spaventosa, arrivata in ordine di tempo dopo lo Slender Man, una sorta di uomo nero, e dopo Momo, che in realtà ritrae una scultura realizzata dall'artista Keisuke Aizawa. I primi account con le immagini di Jonathan Galindo sono comparsi nel 2017, ma il personaggio è diventato popolare solo negli ultimi mesi, come erede della Momo challenge. E con la fama sono arrivati gli emuli: persone che, usando quelle immagini, si divertono a seminare il panico. Con esiti che possono essere drammatici.

Una delle foto usate per rappresentare Jonathan Galindo
Una delle foto usate per rappresentare Jonathan Galindo
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