Parla Antonio Bassolino, trent’anni fa per la prima volta sindaco di Napoli eletto direttamente dai cittadini
Il 5 dicembre del 1993 i napoletani venivano chiamati a scegliere il loro sindaco, tra Antonio Bassolino e Alessandra Mussolini. Era il ballottaggio, una delle grandi novità introdotte dalla nuova legge che prevedeva l'elezione diretta del Sindaco. Bassolino venne eletto al secondo turno, iniziando così una lunghissima carriera da amministratore. Alla fine di una campagna elettorale estenuante e piena di tensioni, l'allora PDS, con l'appoggio dei Verdi e di Rifondazione Comunista, eleggeva i primo cittadino di Napoli e di Roma, dove Francesco Rutelli ebbe la meglio su Gianfranco Fini.
A trent'anni di distanza Bassolino siede nuovamente in consiglio comunale, dopo che due anni fa ha tentato una nuova sfida per entrare a Palazzo San Giacomo. Resta, ancora oggi, una memoria storica della città, capace di aver attraversato le stagioni politiche più significative di Napoli. Gli abbiamo chiesto di quegli anni e di quanto sia cambiato il contesto con quello di oggi.
Il primo ricordo di quel 5 dicembre del 1993?
Certo che me lo ricordo. C'era un sacco di tensione, fu una campagna elettorale durissima tra me e Alessandra Mussolini. Io giravo tantissimo, davanti alle fabbriche, allora ce ne erano tante a Napoli. Ma soprattutto la sera facevo due appuntamenti nelle case della borghesia napoletana, perché ero sicuro del voto popolare e operaio, ma dovevo convincere anche quella parte della città. Il 5 dicembre nel pomeriggio mi chiamò Walter Veltroni, all'epoca era il direttore de L'Unità, mi disse: "Gli exit poll sono molto buoni per te a Napoli e per Rutelli a Roma, stiamo preparando una edizione straordinaria de L'Unità". Io, anche un po' scaramanticamente, gli dissi: "Tieni un poco in mano, aspettiamo come usciranno i voti reali dalle urne".
E alla fine il risultato fu quello, vincemmo. Ricordo un bellissimo corteo fino a Piazza Municipio. Ricordo il mio comitato elettorale a Piazza San Domenico, dove chiudemmo la campagna elettorale, era pieno di volontari. Entrammo a Palazzo San Giacomo e cominciammo a lavorare anima e corpo per la città. Mi viene da sorridere quando ci penso, ma i primi giorni che andavo a Palazzo San Giacomo, arrivavo prima delle signore delle pulizie. Dopo qualche giorno capirono e iniziarono ad anticiparsi. Da quel momento a Palazzo San Giacomo mi chiamavano "il tedesco", perché ero sempre il primo ad arrivare.
Come trovò il Comune di Napoli quando entrò a Palazzo San Giacomo?
Napoli era in dissesto, ma non solo. C'era l'acqua torbida che usciva dai rubinetti, il caso del ‘latte blu' che non si poteva compare e bere, la città era buia, non c'era illuminazione. Perfino in via dei Mille prima delle elezioni, la strada era buia. Ma io da un minuto dopo smisi di parlare del passato e guardai solo al futuro. L'unica cosa che deve fare un Sindaco eletto è quella di rimboccarsi le maniche, mettersi alla testa della città e fare in modo che le cose vadano meglio.
Quali furono i primi provvedimenti che affrontaste come Amministrazione?
Noi volevamo dare una scossa, una sveglia, un senso di svolta. Cominciammo a fare tante piccole cose per portare avanti tante realizzazioni, passo dopo passo, come iniziai a dire già da dopo il voto. E quindi cominciammo ad occuparci delle buche per strada, dei marciapiedi scassati, degli orari degli autobus, ma anche ad esempio riprendemmo in mano il filo della metropolitana, era tutto abbandonato, era finito dentro Tangentopoli.
Noi ricontrattammo i prezzi e facemmo riprendere i lavori. O ancora ad esempio consegnammo ai cittadini tutta una serie di parchi che non erano stati ancora consegnati perché le amministrazioni precedenti temevano che potevano essere vandalizzati. Io feci un patto di fiducia con i cittadini, ricordo l'inaugurazione del parco di San Giovanni a Teduccio che intitolammo a Massimo Troisi. Io dissi alle persone: "Il parco è vostro, ci sarà una direttrice, delle persone che lavorano, ma siete voi a dovervi prendere cura del parco, perché è vostro". Ma sopra ad ogni altra cosa lavorammo per il G7.
Il G7 fu anche un suo successo personale…
Lavorammo per fare in modo che Napoli si ripresentasse agli occhi del mondo nel migliore modo possibile. E ci riuscimmo. Io e Mitterand camminavamo per il centro antico sotto al braccio, Bill Clinton si mangiava la pizza, ma soprattutto i napoletani erano ovunque, ci fu un'accoglienza grandissima. Credo che il G7 sia stata la mia più grande soddisfazione da Sindaco.
La pedonalizzazione di Piazza Plebiscito resta il simbolo di quegli anni. Come nacque l'idea?
Era l'ultimo giorno del G7 e io stavo a Capodichino, all'aeroporto, a salutare i capi di Stato che partivano. Finito tutto, era sera, dovevo andare a casa. Lei deve sapere che io prendevo una quantità di caffè inimmaginabile, anzi abbinavo drammaticamente caffè e sigaretta, una cosa che mi ha accompagnato per tanti anni. Allora, come se avessi la sensazione di qualcosa, ma non sapevo bene di cosa, decisi di non andare a casa e di andarmi a prendere un altro caffè a Piazza Trieste e Trento. Noi non avevamo ancora deciso cosa fare con Piazza Plebiscito, l'avevamo restaurata per il G7, l'avevamo chiusa per l'evento, ma non erano state prese decisioni. Quando arrivai a Piazza Trieste e Trento rimasi sbigottito: alcuni napoletani avevano tolto le balaustre che limitavano la piazza, le macchina già passavano era già ripresa la circolazione. Ammetto che impazzii. Mi dissi: "Ah si?".
La mattina dopo andai a Palazzo San Giacomo, chiamai i funzionari, e firmai un'ordinanza sindacale che stabilì la chiusura definitiva di Piazza Plebiscito, e da lì nacque la piazza di tutti. Poi ci portammo la "Montagna di sale", poi in quella piazza portammo i migliori artisti da tutto il mondo, e poi organizzammo il Capodanno. Per la prima volta a Napoli il Capodanno non festeggiava solo chi aveva i soldi per andare a Londra, Parigi, New York, ma anche tanti napoletani che il 31 sera scendevano in piazza. Ricordo che il primo lo facemmo con Luciano De Crescenzo e Marisa Laurito, stavano a Napoli e li chiamai. "Che fate stasera? Ma perché non venite in piazza?". E così iniziammo, poi facemmo dei Capodanni bellissimi e Piazza Plebiscito divenne il simbolo di Napoli. Io considero la mia esperienza di Sindaco la più importante della mia vita.
Oggi i Sindaci sono sempre eletti dai cittadini, ma il rapporto tra elettori e primo cittadino sembra essersi sfilacciato, le cosa ne pensa?
E' tutto molto diverso, sono cambiate tante cose, è il contesto che è diverso. Una volta i Sindaci erano eletti da una percentuale altissima di cittadini che andavano a votare, adesso non è più così. C'è talmente tanta astensione che alcuni Sindaci sono dei Sindaci di minoranza, nel senso che vengono eletti da una minoranza dei cittadini. Per questo forse si è perso anche il rapporto con la gente. Vede, un Sindaco deve essere Sindaco nei momenti belli, ma anche e soprattutto nei momenti brutti, un Sindaco deve stare sempre con la gente della sua città, questo è un insegnamento che ho provato a fare nella mia esperienza. Ancora oggi, dopo 30 anni, le persone che mi incontrano per strada, a Napoli anche anche altrove, nonostante io abbia fatto tante cose, mi chiamano ancora Sindaco, e devo ammettere che questa è la cosa che mi piace di più.