Nella terra dei Casalesi si sta consumando uno strappo sui beni confiscati alla camorra
Alla fine lo hanno fatto davvero. Lo hanno fatto durante un consiglio comunale a porte chiuse (uno dei danni collaterali prodotti dalla pandemia), con uno strappo istituzionale con pochissimi precedenti in Terra di Lavoro. Hanno ignorato l’invito dell’assessore regionale alla Sicurezza, Mario Morcone, e la richiesta formale del prefetto di Caserta, Raffaele Ruberto, e hanno votato: Santa Maria la Fossa esce dal consorzio intercomunale Agrorinasce portando con sé il portafoglio di beni confiscati alla camorra che allo stesso consorzio sono assegnati. E, naturalmente, i fondi già stanziati per progettazione e riutilizzo. Tra tutti, i quindici milioni di euro destinati alla rinascita della Balzana, un piccolo gioiello di architettura d’uso – duecento ettari di terreni e il borgo agricolo che era appartenuto alla Cirio – che la famiglia Schiavone (quella del capo dei Casalesi Francesco Schiavone-Sandokan) aveva acquistato alla fine degli anni Ottanta attraverso Dante Passarelli, re dello zucchero e cassaforte dell’organizzazione, faticosamente confiscato e restituito allo Stato.
Uno scippo, giustificato da una controversa lettura del Testo unico sulle società partecipate, la cui applicazione al caso specifico è ancora oggetto di approfondimenti giuridici. Ma per l’ex sindaco del piccolo comune (neppure tremila abitanti) della piana dei Mazzoni, Antonio Papa, ora capo dell’opposizione, si tratta di ben altro. Nell’intervento depositato durante i lavori del consiglio comunale ha denunciato: “Oggi sta commettendo un atto ignominioso, che manda all’aria anni di impegno civile nella lotta alla camorra. Non aderire ad Agrorinasce dopo più di un decennio di collaborazione e di importanti risultati raggiunti è come minimo da cartellino rosso”. Anche perché, per paradosso, gli agricoltori del paese sarebbero esclusi dal progetto di riqualificazione dell’azienda.
Poi, preannunciando l’invio della sua nota a ministro dell’Interno, prefetto, Agenzia per i beni confiscati, Procura della Repubblica, forze dell’ordine, ha aggiunto: “Negli anni scorsi i cittadini di Santa Maria la Fossa non potevano accedere al bene perché era in mano alla camorra, successivamente rischia di finire in mano a cooperative sociali non del nostro paese. A chi giova? Qual è la regia?”.
In coda, il riassunto delle puntate precedenti. E cioè il contesto in cui l’amministrazione del nuovo sindaco Nicolino Federico ha deciso la revoca della collaborazione con Agrorinasce. Decisione in controtendenza con il dato nazionale e regionale, dove si assiste invece a una fuga dalla gestione diretta da parte dei Comuni dei beni confiscati, soprattutto quando si tratta di aziende per la cui valorizzazione sono necessari know how e visione strategica di cui le piccole amministrazioni non dispongono.
Il contesto, dunque. Antonio Papa, a nome del gruppo consiliare delle “Rose”, lo dice in maniera esplicita: “La camorra è molto più vicina di quanto si possa credere”. E riepiloga i fatti strani e inspiegati avvenuti nel suo paesino negli ultimi sei mesi. Il primo: l’incendio di dieci ettari di grano, a due giorni dalla raccolta, nella masseria Abbate confiscata alla famiglia di Francesco Schiavone “Cicciariello”, cugino e omonimo del capoclan, condannato all’ergastolo; la parte non confiscata della stessa tenuta era stata oggetto, due anni fa, di un altro incendio nel quale erano andati distrutti un trattore e 1500 balle di fieno ed erba medica.
Poi, a seguire: il sabotaggio del ponticello che scavalca il canale “Ciccio Villano”, all’interno della Balzana. Sabotaggio finalizzato a provocare l’esondazione del canale e l’allagamento di terreni e del deposito di mezzi agricoli del vicino Consorzio di bonifica. E ancora: lo sversamento di rifiuti all’interno di un’altra azienda agricola confiscata alla famiglia Bidognetti. Il furto di zucche e le minacce a un operatore della coop Apeiron, che gestisce un bene sottratto a Elio Diana, un altro esponente del clan dei Casalesi. Il tutto, mentre veniva revocato il finanziamento alla coop “Meta” a causa di mancati adempimenti da parte del Comune (un milione e quattrocentomila euro; non si approvava il progetto per la Balzana; non si rendicontava l’attività della fattoria didattica di Masseria Abbate; si ignorava la richiesta di proroga della concessione di Ferrandella, la prima azienda confiscata a Francesco Schiavone, su cui sono stati realizzati un centro di documentazione con annessa sala convegni, l’isola ecologica e la centrale a biogas, entrata in funzione nel 2015, alimentata dai rifiuti organici di 35 aziende bufaline.
Tanta roba, letta tutta insieme. E tantissima preoccupazione, condivisa anche da Mario Morcone che ben conosce il territorio e, soprattutto, la storia della Balzana. Era lui il direttore dell’agenzia per i beni confiscati, tra il 2010 e il 2011, quando l’azienda ex Cirio passò quasi integralmente allo Stato. Le particelle residue, parte di un contenzioso infinito con gli eredi di Dante Passarelli, sono state definitivamente “liberate” nel 2017.
E ora? La sola certezza riguarda la prosecuzione del progetto del recupero della Balzana, lì dove è previsto il ripristino del villaggio agricolo e delle sue funzioni comunitarie: con aree per la formazione, laboratori, l’università. Il contraltare alla devastazione ambientale prodotta dallo sversamento dei rifiuti durante il periodo dell’emergenza, tra il 2008 e il 2009. Fu allora che i ricchissimi e fertilissimi terreni di quell’area diventarono un unico, grande, distretto dell’immondizia. Destino al quale, dopo Ferrandella, sembrava destinata anche l’ex Cirio: molto più facile ed economico che costruire un polo produttivo di alta qualità. Agenzia per i beni confiscati, ministero dell’Interno e Regione stanno giù studiando il dossier. E non è affatto esclusa la revoca dell’assegnazione al Comune di Santa Maria la Fossa.
Resta, ancora inevasa, l’altra questione, quella del contesto. È tutto un caso o gli eredi del clan dei Casalesi rivogliono ciò che avevano preso con minacce, attentati, omicidi?