Perché la pista turca non risolverà il caso della scomparsa di Angela Celentano
“Non la vedo più”. Questa è la frase pronunciata da Catello Celentano il 10 agosto 1996. Quel maledetto giorno, sua figlia di quasi tre anni, faceva perdere le sue tracce. Tutta la famiglia quella domenica si era recata sul Monte Faito per partecipare ad uno dei picnic domenicali organizzati dalla comunità evangelica.
Pochi minuti di distrazione sono bastati perché Angela Celentano si dissolvesse nel nulla. Anni di piste alternative, presunti avvistamenti e mitomani non hanno portato ad una soluzione. L’ultimo buco nell’acqua in ordine di tempo è stato quello di qualche giorno fa. Quando una modella venezuelana si è sottoposta al test del Dna. L’ennesima delusione per la famiglia Celentano. Che, però, non si arrende. Ed insieme al suo avvocato ha già fatto sapere di voler nuovamente battere la pista che porta in Turchia.
La verità sulla scomparsa è vicina? Analizziamo prima la pista turca. E poi capiamo perché, in realtà, la soluzione al giallo può essere trovata davvero solamente analizzando quanto contenuto nell’originario fascicolo della scomparsa. Quello del 1996.
La pista turca
Nel 2009 una donna, Vincenza Trentinella, aveva raccontato di aver ricevuto delle confidenze da parte di don Augusto. Il prelato le avrebbe rivelato di aver a sua volta ricevuto la confessione di una persona, secondo la quale Angela Celentano sarebbe stata rapita e vivrebbe sull'isolotto di Buyukada con una persona che crede essere suo padre.
Trentinella, dopo la morte del parroco, si sarebbe quindi diretta di propria iniziativa in Turchia per verificare la veridicità del racconto di don Augusto. Al suo ritorno, poi, avrebbe denunciato i fatti ai magistrati italiani. Nel farlo, peraltro, non solo avrebbe fornito un identikit del presunto padre di Angela Celentano, ma persino una fotografia. Che immortalerebbe un uomo facilmente riconoscibile per l’evidente cicatrice sul volto e che risponderebbe al nome di Fahfi Bey. Che di professione farebbe il veterinario.
Le anomalie della cosiddetta pista turca
È difficile anzitutto comprendere perché un parroco, vincolato dal segreto confessionale, abbia fatto una rivelazione di simile portata ad una parrocchiana. La religione cattolica in questo senso è tassativa. Un prete, infatti, non può denunciare un reato di cui è venuto a conoscenza durante la confessione. E questo perché secondo il credo cattolico la confessione non è rivolta al sacerdote. Ma a Dio stesso.
Altro punto cruciale. Posto che non ci si improvvisa detective dalla sera alla mattina, perché peraltro si rischia di vanificare le indagini, è complicato comprendere il motivo per il quale Vincenza Trentinella si sia recata di sua iniziativa in Turchia per accertare la veridicità della confidenza ricevuta dal prelato. Per giunta, dopo che l’uomo è deceduto. Certo, diverso sarebbe se ipotizzassimo che sia stata la donna medesima ad aver fatto la confessione al defunto padre.
La psicologia della testimonianza
Nonostante sfugga alle ragioni della logica un simile accadimento non può negarsi come, dal punto di vista della psicologia della testimonianza, il racconto della Trentinella presenti elementi in grado di sostenerne l'attendibilità e la credibilità. Nel dettaglio, l'accuratezza della narrazione e la sua riscontrabilità – per certi versi – di natura oggettiva. La donna ha infatti ricostruito un identikit, fornito un numero di telefono e descritto un elemento fortemente caratterizzante il presunto padre adottivo. Ma vi è di più. I dati anagrafici forniti dalla signora Trentinella corrisponderebbero ad un soggetto identificato e identificabile. Escludendo da tale angolo di visuale la lacunosità e la fuorviante percezione personale della medesima.
Del resto, non poteva essere altrimenti. In altri termini, se le cose fossero state diverse, il gip di Napoli non si sarebbe opposto alla richiesta di archiviazione avanzata dalla procura di Napoli né avrebbe disposto la prosecuzione delle indagini.
La rogatoria internazionale
C'è un ulteriore riscontro oggettivo che avvalorerebbe la testimonianza della Trentinella. Durante la rogatoria internazionale, è stato interrogato Fahri Dal. Fahri Dal, però, non solo non ha nessuna cicatrice. Ma non ha mai conosciuto la donna che voleva adottare il gattino. Vale a dire la signora Vincenza.
Perché, allora, nelle annotazioni di rogatoria, l'uomo interrogato sarebbe stato identificato come Fahfi Bey? Uno scambio di persona? Possiamo affermarlo quasi con certezza. Dato che, da quanto emerso da un’indagine portata avanti dal servizio di cooperazione internazionale di polizia, esisterebbe in Turchia una nuova utenza telefonica aperta proprio a nome di Fahfi Bey. Dunque, appare incontrovertibile, come esista nel Paese un uomo con quel nome. Ma che non è stato interrogato durante la rogatoria internazionale. Una circostanza almeno sospetta. Corretta, quindi, la decisione di continuare ad indagare.
La verità sulla scomparsa di Angela arriverà dalla pista turca? Ho i miei dubbi. Ritengo, al contrario altamente probabile che la risposta sulla fine di Angela Celentano sia contenuta proprio nelle carte originarie. Ed il perché non è di difficile comprensione. Su quanto accaduto quel giorno sul Monte Faito ci sono due importanti testimonianze: quelle dei bambini presenti, Renato e Luca. Peccato, però, e qui risiede a mio avviso il nodo da sciogliere, che le due testimonianze cozzino irrimediabilmente tra loro. E questo che cosa può significare in termini investigativi? Semplice. Che qualcuno ha mentito. Chi lo ha fatto e perché?
Riavvolgiamo il nastro.
Le due testimonianze a confronto
Renato aveva raccontato agli inquirenti di aver percorso un sentiero insieme ad Angela per portare il proprio pallone in auto. A metà strada, quando il viottolo si incrociava con un altro, Renato avrebbe invitato Angela a tornare indietro. Da quel momento in poi nessuno l'avrebbe mai più vista. La versione di Renato è però smentita da un altro bambino presente, Luca. Luca aveva raccontato di aver visto Angela camminare a fianco di quest’ultimo nella direzione dell’auto dei genitori. Nel verbale dell’epoca Luca aveva altresì precisato di aver invitato Renato a consegnargli la bambina affinché potesse ricondurla da Maria e Catello. Ma, sempre secondo quanto affermato da Luca, Renato si sarebbe rifiutato e avrebbe continuato a tenere Angela per mano. Qualche tempo dopo, però, Luca smentirà anche sé stesso dicendo di essersi inventato tutto.
I due bambini, oggi adulti, hanno detto tutta la verità? Ma soprattutto chi dei due ha mentito? Più che affidarsi agli esiti dell’age progression, che scaturiscono da software probabilistici, e come tali di per sé insufficienti a fondare anche solo il prelievo del Dna, bisognerebbe riesaminare l’intero incartamento procedimentale.
Perché è lì che si trova all’avviso di chi scrive la soluzione al caso di scomparsa. Nuove indagini incentrate su nuovi interrogatori. Dirimente sarebbe infatti risentire Luca e Renato. Ma non solo. Anche tutte le persone che quel 10 agosto 1996 si trovavano sul Monte Faito. Una nuova attività investigativa che dovrebbe altresì essere supportata da un accurato studio dello stato dei luoghi. Attingendo alla mappa del territorio di quegli anni. Per cercare di comprendere come possa essersi collocata in loco la scomparsa della piccola Celentano.