Anche il baby camorrista aveva il tatuaggio del clan: “219” e “Cipolletta” come segno di affiliazione
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Il nome del clan, il rione di residenza: gli affiliati gruppo Cipolletta, uno dei due colpiti dal blitz dei carabinieri di oggi, 10 febbraio, avevano una sorta di fissazione per i tatuaggi, che portavano come un marchio distintivo. Un segno di appartenenza che si era fatto imprimere sulla pelle anche un baby camorrista, figlio di un affiliato morto mentre cercava di incendiare un'automobile rubata. Emerge dalle indagini che hanno portato all'operazione che ha colpito anche l'altro gruppo che si contendeva il controllo su Pomigliano d'Arco, quello dei Ferretti-Mascitelli.
I tatuaggi come segno di appartenenza al clan
Non si tratta di certo di una novità nel panorama camorra. Situazione analoga era stata riscontrata dagli inquirenti oltre dieci anni fa per il clan De Micco di Ponticelli: gli affiliati avevano tatuato sul petto la scritta "Bodo", soprannome del capoclan, Marco De Micco. E, dal lato opposto di quella guerra di camorra, avevano fatto la stessa cosa anche i D'Amico: per loro il marchio era la scritta "Fraulella".
Più di recente, le indagini hanno dimostrato che anche nel gruppo Marigliano delle Case Nuove era diffuso lo stesso concetto: in quel caso le lettere tatuate erano la F e la M, che stanno, appunto, per Famiglia Marigliano.
I "marchi" del gruppo Cipolletta di Pomigliano d'Arco
Il particolare del tatuaggio del minorenne è stato reso noto nel corso di una conferenza stampa indetta negli uffici della Procura di Napoli a cui hanno preso parte, tra gli altri, i vertici dei carabinieri, il capo dell'ufficio inquirente partenopeo Nicola Gratteri e il vertice della Procura dei Minorenni di Napoli Patrizia Imperato. Il ragazzo, che aveva la scritta "Cipolletta" sul polso, è uno dei quattro minorenni raggiunti da misura cautelare in questa inchiesta; la procuratrice Imperato ha sottolineato che questi giovanissimi, uno dei quali già affiliato, erano caratterizzati da un uso eccessivo e immotivato della violenza e, durante le azioni predatorie, per lo più rapine, aggredivano le vittime e sparavano anche quando non era necessario.
Il senso di appartenenza emerge anche dal comportamento di Pasquale D'Onofrio, che, per dimostrare la sua assoluta dedizione a Olindo Cipolletta (detto Vincenzo), quest'ultimo ritenuto capo del gruppo criminale, si era fatto tatuare sul corpo due scritte: sulla mano sinistra il nome "Cipolletta Vincenzo" e, al centro del torace, la sequenza numerica "219", come il nome del caseggiato popolare che era roccaforte del clan. Similmente, i carabinieri hanno appurato si erano fatti tatuare anche Beniamino Cipolletta, detto "Mino" (classe 2000, detenuto a Carinola), fratello di Olindo alias Vincenzo, e il suo cugino omonimo Beniamino Cipolletta (detenuto a Siracusa): rispettivamente avevano le scritte "219" e "Cipolletta".
In una conversazione, intercettata, Pasquale D'Onofrio parla con un tatuatore abusivo e gli spiega che tipo di disegno vuole. Più volte ripete che vuole i nomi di Vincenzo e di Mino, e il numero 219. E lo ripete diverse volte, interrompendo il tatuatore quando questi prova a dargli un consiglio: "Vincenzo duecentodiciannove, fatto a tipo collana…"