Violenza e ragazzi, “Mare Fuori e Geolier non hanno colpe: musica e fiction raccontano una realtà che già esiste, non la creano”
Se i giovani sono violenti, la colpa è di "Mare Fuori". O di "Gomorra", o di qualsiasi altro film, fiction, libro di successo che parli di criminalità. O magari dei social. È il refrain che ogni volta si ripresenta, prepotente, quando c'è un grave fatto di cronaca, e così è stato per la tragica fine di Giovanbattista Cutolo, ucciso in piazza Municipio e per il cui omicidio è reo confesso un 17enne.
Ma è così netto questo collegamento, sono così influenti queste opere da traviare completamente frotte di giovani e trasformarli in baby criminali?
Lo abbiamo chiesto a Marcello Ravveduto, docente di Digital Public History alle Università di Salerno e di Modena e Reggio Emilia, storico e studioso della comunicazione mafiosa.
Professor Ravveduto, quanto incidono queste opere, la più recente è "Mare Fuori", su certe realtà criminali?
Pochi mesi fa la Federico II ha presentato un rapporto sul fatto che i giovani napoletani sono i più armati e pericolosi d'Italia e sono quelli più condannati per omicidio. A differenza di quello che accade in altre città, i reati più violenti qui non vengono commessi da figli di extracomunitari, di seconda o terza generazione, ma da napoletani. Alla luce di questo, come si può dire che il problema è Mare Fuori? Il problema vero è che esiste un dato endemico di carattere culturale, che non riguarda le fiction e nemmeno i social.
Eppure è innegabile che certi comportamenti, certi modi di vestire, siano presi dai personaggi visti in tv. Come si interpreta questo aspetto?
L'atteggiamento che assume un ragazzo dentro la società, nel quartiere, nella sua cerchia, viene da come si comportano genitori, parenti, amici, e si mescola con quello che vede in tv. La potenza dei social è di portare a compimento quello che è già il loro immaginario. Dentro questa identità che si costruiscono ci mettono anche gli altri elementi. Ma si tratta di elementi che acquisiscono proprio perché in quelli già si riconoscono. Anche il fatto di vestirsi con abiti di marca, costosi… è la stessa cosa che i camorristi facevano nell'800, non è cambiato nulla. I ragazzi non vengono formati, ma lo sono già e, quando vedono una cosa che è simile alla loro realtà, la acquisiscono perché comprendono che è un mondo affine al loro.
Quello di "Mare Fuori" è il discorso che già si fece con Gomorra, ma la narrazione racconta una situazione che già esiste, è successiva ai fatti. L'Italia, per raccontare Napoli, deve raccontare anche questi ragazzi. Il problema è di cultura. Siamo arrivati al punto che la rappresentazione di Napoli, anche dal punto di vista turistico, passa da qui. È un po' come Medellin, dove vieni a vivere il brivido oltre la grande bellezza.
Anche Geolier si è schierato, ha lanciato un appello a questi ragazzi.
Io lo capisco, Geolier, quando dice che conosce queste realtà, che questi ragazzi devono abbandonare questa mentalità. Ma come fanno, se è una cultura criminale che si replica da cinque o sei generazioni? Il 17enne che ha sparato a Giovanbattista Cutolo aveva già alle spalle una storia criminale, quando ha commesso il primo reato nemmeno esisteva, Mare Fuori. Ma, poi, è normale che questo ruolo debba essere lasciato a Geolier, e che non ci sia un pezzo importante della società civile che se ne faccia carico?
A cosa si riferisce?
Il problema è che il modello di cultura metropolitana a Napoli non va più bene. È legato ad una Napoli che piace, folkloristica, ma nel 2023 non può più esistere soprattutto perché genera violenza. Dovremmo avere il coraggio di dire che c'è una parte di città che andrebbe completamente ricostruita, dal punto di vista sociale, civile e anche urbanistico. Dovremmo dire che il piano di sviluppo di Napoli ha, nei decenni, favorito la nascita di zone che sono diventate un lievito criminologico e nelle quali non si è mai intervenuto e non lo si fa nemmeno adesso. Napoli ha gli stessi problemi che aveva nell'800, mentre abbiamo assistito a cambiamenti radicali per città che versavano in condizioni gravissime come Bogotà e Marsiglia. Dovremmo ammettere che il modello di sviluppo di Napoli è stato sbagliato e che va rifatto. Allora, è meglio dire che è colpa di Mare Fuori.