Alfredo Avella: “Vi racconto mio figlio Paolino, morto a 17 anni per difendere lo scooter”

Paolino Avella, 17 anni, morì a San Sebastiano al Vesuvio il 5 aprile 2003, durante una tentata rapina. Il padre Alfredo, ospite a Fanpage.it, racconta quel tragico giorno e l’iter giudiziario durato 12 anni per avere giustizia.
Intervista a Alfredo Avella
Padre di Paolino Avella, vittima innocente della criminalità
A cura di Giuseppe Cozzolino
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Paolino Avella in una foto dell'epoca (a sinistra) e il padre Alfredo (a destra) ospite di Fanpage.it
Paolino Avella in una foto dell'epoca (a sinistra) e il padre Alfredo (a destra) ospite di Fanpage.it

"Paolino è morto in un tentativo di rapina. Nessun processo me lo avrebbe potuto restituire, ma c'era la necessità di fare giustizia e di verità". Così Alfredo Avella, ospite di Fanpage.it, racconta la vicenda che lo ha segnato per sempre, quella in cui il figlio Paolino morì, il 5 aprile del 2003, mentre tornava a casa dopo scuola. Sono passati vent'anni da quel giorno, ma la lunga battaglia che ha portato ad una condanna per quella morte ingiusta ha segnato la sua vita e quella di tutti coloro che conoscevano Paolino, che sette giorni dopo avrebbe compiuto diciotto anni e che vide la sua vita finire per sempre durante una tentata rapina.

Era il 5 aprile del 2003: Paolino aveva 17 anni ed usciva dal suo liceo "Salvatore Di Giacomo" per tornare a casa, in sella al suo motorino in compagnia di un amico. Ma due balordi prima lo affiancarono e poi lo inseguirono per le strade di San Sebastiano al Vesuvio: ci fu una breve colluttazione con uno speronamento, come accertato anche dal consulente poi nominato dalla Procura di Nola, e Paolino Avella perde l'equilibrio, finendo a terra assieme al motorino e al suo amico. L'impatto non gli lasciò scampo: quel 5 aprile 2003, poco dopo le 13.30, Paolino perse la vita contro un albero di via Giacomo Matteotti, dove ancora oggi c'è una lapide che lo ricorda. Morì a sette giorni dal suo diciottesimo compleanno, che sarebbe caduto il 12 aprile. A Fanpage.it, il padre Alfredo che ha dedicato la sua vita a lottare affinché il ricordo di Paolino non sparisse ha raccontato quella tragica giornata di vent'anni fa, e il lungo iter giudiziario che ne seguì.

Signor Avella, Lei ricorda ancora molto bene quel giorno. Ce lo racconta?

Era un sabato, un normale sabato di scuola, quel 5 aprile 2003. Una giornata in cui Paolino aveva anche una partita di calcio, in un torneo del liceo. Alla fine delle lezioni, prese il motorino per accompagnare a casa un suo amico di scuola,  Attorno alle 13, 13 e un quarto circa. Le strade erano piene di persone e di macchine, quando durante il tragitto vennero affiancati da un motociclo, con questi due balordi a bordo. Lo affiancarono facendogli intravedere una pistola nascosta in tasca, gli intimarono di fermarsi e dargli il motorino. Lui però cercò di prendere tempo, e senza fermarsi continuò la marcia col motorino.

Cosa accadde a quel punto?

Lui cercava di allontanarsi tra le automobili, loro si avvicinavano insistentemente, ma lui tentò di seminarli. Credo che la sua intenzione fosse quella di raggiungere la vicina stazione dei carabinieri. Ma loro lo affiancarono e ci fu una vera e propria colluttazione. Questo non lo dico io, ma il consulente nominato successivamente dalla Procura della Repubblica di Nola. Ci fu una colluttazione in movimento, poi uno speronamento e il motorino di Paolino cadde: ci fu un impatto vicino un albero, e fu quello che fu fatale. Erano su via Giacomo Matteotti (dal luogo dell'impatto alla Caserma dei Carabinieri, la distanza è di appena 240 metri, ndr).

Che giovane era Paolino?

Aveva 17 anni quando è successa questa tragedia, e mancavano appena sette giorni per festeggiare il suo diciottesimo compleanno. Era un giovane amante degli sport e degli amici, come tanti giovani. Aveva uno spiccato senso dell'amicizia, per lui era una cosa importantissima. Questo è venuto fuori dopo la tragedia: spesso purtroppo capita che si conoscano alcune cose che prima magari passavano inosservate. E Paolino aveva una vera predilezione a stare con gli amici.

Paolo Avella allo Stadio San Paolo di Napoli.
Paolo Avella allo Stadio San Paolo di Napoli.

Poi è iniziato per Lei il lungo iter giudiziario..

Ho dovuto affrontare in un primo momento un grosso problema: si parlava di un incidente stradale. Si stava perdendo quello che era successo veramente. Anche questo è stato ciò che ha fatto crescere in me questo impegno, che poi si è tradotto in un impegno civile e sociale, che ancora oggi porto avanti. Perché si è tentato di coprire la vera origine della tragedia, che era invece un tentativo di rapina. Tentativo perché non andò a termine, per l'esito che purtroppo c'è stato. Tutto l'impegno che c'è stato dopo, da parte mia e da parte della mia famiglia, è stato proprio quello di portare la verità, sempre per quel senso di verità e giustizia che è indispensabile quando succedono queste tragedie. Almeno la verità, la giustizia, la dobbiamo restituire a Paolino.

Inizialmente questa ipotesi però sembrava stesse diventando quella ritenuta più plausibile..

Fu un tentativo che mi fece pensare molto. Iniziai a sentire e leggere cose strane, si parlava di incidente stradale, poi di una questione di bullismo, addirittura che Paolino avesse rubato il motorino al papà, o che portava il motorino senza avere la patente. Si stava ribaltando la situazione, sono stato costretto perfino a delle azioni giudiziarie contro chi diffondeva queste ipotesi. E qui è scattata di nuovo l'esigenza di fare verità e giustizia su questa tragedia. Ed infatti di lì a poco, è stata ribaltata la cosa: si è iniziato a parlare di tentata rapina. C'è stata anche la Procura di Nola che volle con fermezza portare avanti la sua ipotesi di omicidio volontario, ma purtroppo è stato molto difficile portare avanti questa ipotesi di reato, perché poi dopo abbiamo dovuto fare i conti con il silenzio di tante, troppe persone. Non ci sono stati testimoni. Una cosa molto strana, e brutta, visto che tutto avvenne ad un orario di punta.

Lei però non si perse d'animo, e ha continuato a combattere.

Ricordo che all'epoca venne affisso anche un manifesto per scuotere le coscienze, per chiedere di farsi avanti a persone che avessero visto. Ma è stato molto difficile, e così il decorso giudiziario è stato lunghissimo. È durato più di dodici anni, con una cancellazione della Cassazione e un ritorno in Corte d'Appello. Diciamo che mi sono dovuto accontentare di una sentenza o un'ipotesi diversa, ma si trattava di omicidio volontario, la sostanza è questa.

Alla fine, per il responsabile la condanna è stata di 9 anni, 6 mesi e 15 giorni: crede sia stata una sentenza giusta?

Paolino è morto per un tentativo di rapina al quale lui ha voluto resistere, e non ha voluto accettare. La sentenza l'ha detto chiaramente. Poi la pena di 12, 15 o 18 anni certamente non mi restituisce Paolino. Però c'era la necessità di fare giustizia e verità perché, ripeto, all'inizio si parlava di altro. È stato fatto molto, ma non solo dall'Associazione Paolino Avella Onlus. È stato tutto il terzo settore. Io mi sono inserito in un viaggio che altri già avevano iniziato. Se si è fatto molto, certamente c'è ancora tantissimo da fare, ma si è fatto molto perché siamo riusciti a scuotere la società e a far passare questa esigenza di una maggiore partecipazione.

Lei è stato anche presidente del Coordinamento dei familiari delle vittime innocenti della criminalità della Campania, oltre a far parte della Fondazione Polis. Qual è il messaggio che portate ancora oggi ai più giovani?

Quando noi familiari andiamo nelle scuole a parlare con i ragazzi di legalità, diciamo sempre questo: non possiamo sempre delegare la soluzione di questo problema alle forze dell'ordine o alla magistratura, che in primis, è ovvio, devono affrontare il problema e che noi ringraziamo sempre per quello che fanno. Ma dobbiamo anche partecipare tutti quanti noi. Il noi è importantissimo per cercare di risolvere il problema che sicuramente non è stato ancora risolto. Ma almeno per far fronte a questo problema drammatico: il messaggio che portiamo è quello di certamente di abbandonare queste ipotesi di violenza, di abbandonare questo sistema, questa esigenza di crescere e di farsi un futuro sulle basi della violenza e della sopraffazione, ma di andare a trovare la soluzione in una maggiore consapevolezza di cercare un lavoro, un lavoro dignitoso. Il lavoro, anche quello più umile, dà una serenità e una possibilità di impostare il proprio futuro meglio di tante altre strade che sembrano più brevi ma sicuramente non portano a niente.

La sciarpa del Napoli Calcio consegnata all'Associazione Paolo Avella Onlus.
La sciarpa del Napoli Calcio consegnata all'Associazione Paolo Avella Onlus.
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