Al 41 bis vietate canzoni neomelodiche. Quando la musica diventa strumento dei clan
Tonino ‘o Pazzo, nella sua cella al 41 bis nel carcere di Opera, dovrà fare a meno delle canzoni neomelodiche che aveva chiesto: musica concessa, ma non quella. Lo ha deciso la Cassazione, con un motivo chiaro: "dei testi contenuti nei cd, alcuni brani musicali del genere neomelodico, veicolano messaggi di violenza, ed esaltano l'adesione a stili di vita criminali". La vicenda riporta sotto i riflettori il legame che, da sempre, unisce malavita organizzata e (alcuni) cantanti neomelodici, che finiscono col diventare artisti di riferimento dei clan o, talvolta, persino strumenti per veicolare messaggi mafiosi.
Vietata la musica neomelodica al boss al 41 bis
Tonino ‘o Pazzo, al secolo Antonio Luongo, è detenuto dal 2008, accusato di tre omicidi e ritenuto personaggio di spicco del clan Longobardi di Pozzuoli (Napoli). Nel 2022 era stato autorizzato dal Tribunale di Sorveglianza di Milano ad avere in cella cd musicali e relativi lettori digitali. Il provvedimento era stato fermato dal reclamo del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, che ha portato alla sentenza degli ermellini.
Per i giudici della Cassazione l'ascolto di quel genere musicale, che "racconta di contesti malavitosi e di contrapposizione anche aperta ai poteri dello Stato, si pone in contrasto con il trattamento e la rieducazione previsti dall'ordinamento penitenziario". Ovvero: parlano di quel mondo da cui un detenuto, e in particolar modo se al 41 bis, dovrebbe stare lontano.
I messaggi del clan nelle canzoni neomelodiche
I testi delle canzoni neomelodiche possono diventare anche un vero e proprio strumento ad uso e consumo dei clan, che da una parte tramite la musica possono glorificare quello stile di vita che rappresentano, e quindi aumentare il proprio potere sul territorio, ma anche inviare dei messaggi ad affiliati. Anche dal carcere all'esterno, e viceversa.
É il caso, per esempio, del clan Sautto-Ciccarelli, egemone nel Parco Verde di Caivano. Secondo i collaboratori di giustizia, circostanza riportata anche nell'ordinanza da 33 misure cautelari eseguita nel dicembre 2022, Sonia Brancaccio, che sarebbe subentrata alla guida del clan dopo l'arresto del compagno, il boss Gennaro Sautto, avrebbe commissionato due canzoni neomelodiche.
Una, intitolata "Me chiammave frate", cioè "Mi chiamavi fratello", sarebbe stata fatta incidere contro un ex affiliato diventato collaboratore di giustizia. L'altra, "Si' ‘a Regina Mia", interpretata dal neomelodico Anthony, racconta di un detenuto che si rammarica di non poter stare vicino alla compagna: il videoclip sarebbe stato girato proprio nell'abitazione della Brancaccio e la voce registrata che si sente ad un certo punto nella canzone sarebbe quella di Gennaro Sautto, all'epoca già detenuto.
Il figlio del boss nel video trap che esalta la camorra
Il legame tra musica neomelodica e camorra ha alla base l'estrema popolarità di questo genere musicale. Il messaggio, però, va costruito anche in base al target di riferimento, adattato. Capita così che, se i destinatari del messaggio sono i giovani, il veicolo diventi la trap. É il caso di una canzone pubblicata sui social agli inizi del 2021: il protagonista del video è un giovane criminale, viene mostrato con auto potente, una pistola, droga e una vistosa collana con un ciondolo con due numeri.
Il ragazzo che lo interpreta, all'epoca ancora minorenne, è Junior Esposito, figlio di Massimiliano "lo Scognato", per la Dda a capo del principale gruppo di camorra di Bagnoli, periferia ovest di Napoli. E i numeri che porta al collo sono il simbolo del clan: 6 r 5, che stanno per le lettere F e E, ovvero Famiglia Esposito.
Neomelodico condannato: istigazione a delinquere
"Il capoclan è un uomo serio, che non è davvero cattivo", "se ha sbagliato è stato per necessità", recitava il testo di "‘o Capoclan", che è valso per l'interprete, il neomelodico Nello Liberti, una condanna una condanna a un anno e quattro mesi per istigazione a delinquere. La canzone parla della vita di un boss di camorra, descrivendolo come un uomo fondamentalmente buono, costretto anche a commissionare omicidi per punire chi ha sbagliato e tormentato dal fatto di non poter stare con la famiglia.
Per i giudici non si trattava di un personaggio immaginario: il testo sarebbe stato scritto per onorare Vincenzo Oliviero, alias "Il Papa buono", all'epoca, nel 2003, reggente del clan Birra-Iacomino e ucciso in un agguato nel 2007; secondo alcuni pentiti il boss sarebbe stato anche l'autore del testo, che risulta però registrato da un'altra persona.
La dinamica sarebbe simile a quella dell'episodio che vede coinvolto un altro boss di camorra, Umberto Accurso, del clan della Vanella Grassi di Secondigliano: per gli inquirenti sarebbe stato l'autore della canzone "‘A libertà", dedicata al figlio e interpretata dal neomelodico Anthony, che parlava della latitanza e della lontananza dalla famiglia.