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Agli Scavi di Pompei scoperto un panificio-prigione: schiavi e asini rinchiusi e sfruttati

La scoperta nella Regio IX, insula 10, del Parco Archeologico di Pompei. Il direttore degli Scavi Gabriel Zuchtriege: “Aspetti sconvolgenti della schiavitù antica”
A cura di Pierluigi Frattasi
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Agli Scavi di Pompei scoperto un "panificio-prigione" dove schiavi e animali venivano rinchiusi al buio insieme e sfruttati per macinare il grano. Un ambiente angusto e senza affaccio esterno, con piccole finestre con grate in ferro per il passaggio della luce. E nel pavimento c'erano intagli per coordinare il movimento degli animali, costretti a girare per ore con occhi bendati.

La scoperta nella Regio IX insula 10

La scoperta eccezionale è emersa nella zona della Regio IX, insula 10, dove sono in corso scavi nell’ambito di un più ampio progetto di messa in sicurezza e manutenzione dei fronti che perimetrano l’area ancora non indagata della città antica di Pompei. Il Direttore del Parco Archeologico di Pompei, Gabriel Zuchtriegel, ne ha parlato in un articolo scientifico scritto a più mani pubblicato oggi sull’E-Journal degli scavi di Pompei.

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Dagli scavi è emersa una casa che all'epoca dell'eruzione doveva essere in corso di ristrutturazione. L’abitazione, come spesso avveniva, era divisa in una zona residenziale, decorata con raffinati affreschi di IV stile, e in un quartiere produttivo, destinato in questo caso alla panificazione. Quest'ultimo, però, nel 79 d.C. doveva essere probabilmente in disuso. In uno degli ambienti del panificio, erano già emerse nei mesi scorsi tre vittime, a conferma che nonostante la ristrutturazione in corso, la dimora non fosse disabitata.

Il racconto di Apuleio nelle Metamorfosi

Il mulino-panificio prigione ritrovato va a confermare anche quanto raccontato dallo scrittore latino Apuleio, vissuto nel II secolo d.C., autore delle Metamorfosi o dell'Asino d'oro. Nel libro IX 11-13, infatti, Apuleio narra l’esperienza del protagonista Lucio, trasformato in asino e venduto a un mugnaio. Il racconto traccia quindi uno spaccato del lavoro massacrante a cui erano sottoposti uomini, donne e animali negli antichi mulini-panifici.

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Com'è fatto il panificio prigione trovato a Pompei

Nel panificio prigione ritrovato si nota come l'impianto fosse privo di porte e comunicazioni con l’esterno. L'unica uscita dà sull’atrio. Nemmeno la stalla possiede un accesso stradale, come frequente in altri casi.

Per Gabriel Zuchtriegel, direttore degli Scavi di Pompei,

“Si tratta, in altre parole, di uno spazio in cui dobbiamo immaginare la presenza di persone di status servile di cui il proprietario sentiva il bisogno di limitare la libertà di movimento. È il lato più sconvolgente della schiavitù antica, quello privo di rapporti di fiducia e promesse di manomissione, dove ci si riduceva alla bruta violenza, impressione che è pienamente confermata dalla chiusura delle poche finestre con grate di ferro”.

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La zona delle macine, ubicate nella parte meridionale dell’ambiente centrale, è adiacente alla stalla, caratterizzata dalla presenza di una lunga mangiatoia. Attorno alle macine si individua una serie di incavi semicircolari nelle lastre di basalto vulcanico. Data la forte resistenza del materiale, è verosimile che quelle che a prima vista potrebbero sembrare delle “impronte” siano in realtà intagli realizzati appositamente per evitare che gli animali da tiro scivolassero sulla pavimentazione e contemporaneamente tracciare un percorso, formando in tal modo un “solco circolare” (curva canalis) come lo descrive anche Apuleio.

Quindi, prosegue:

“Le fonti iconografiche e letterarie, in particolare i rilievi della tomba di Eurysaces a Roma, suggeriscono che di norma una macina fosse movimentata da una coppia composta da un asino e uno schiavo. Quest’ultimo, oltre a spingere la mola, aveva il compito di incitare l’animale e monitorare il processo di macinatura, aggiungere del grano e prelevare la farina”.

L’usura dei vari intagli può essere ascritta agli infiniti giri, sempre uguali, svolti secondo lo schema predisposto nella pavimentazione. Più che a un solco viene pertanto da pensare all’ingranaggio di un meccanismo di orologeria, concepito per sincronizzare il movimento intorno alle quattro macine concentrate in questa zona.

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L’ambiente riaffiorato, con la sua testimonianza di dura vita quotidiana, integra il quadro raccontato nella mostra “L’altra Pompei: vite comuni all’ombra del Vesuvio” – che inaugurerà il 15 dicembre alla Palestra grande di Pompei- dedicata a quella miriade di individui spesso dimenticati dalle cronache storiche, come appunto gli schiavi, che costituivano la maggioranza della popolazione e il cui lavoro contribuiva in maniera importante all’economia, ma anche alla cultura e al tessuto sociale della civiltà romana.

“In ultima analisi – aggiunge il direttore- sono spazi come questo che ci aiutano anche a capire perché c’era chi riteneva necessario cambiare quel mondo e perché negli stessi anni un membro di un piccolo gruppo religioso di nome Paolo, poi santificato, scrive che è meglio essere tutti servi, douloi che vuol dire schiavi, ma non di un padrone terrestre, bensì di uno celeste.”

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