Ricordo di Sergio Solli, l’attore totale: da Eduardo De Filippo a Luciano De Crescenzo, da Vanzina a Woody Allen
Sergio Solli, morto a 78 anni, cinquanta e più dei quali passati sui palchi dei teatri o davanti una telecamera, appartiene a quella categoria di artisti sui quali – così come scrisse una volta Titina De Filippo – si posò la magica «porporina» del genio di Eduardo.
Fu col commediografo, regista e attore caposaldo del Novecento italiano che deviò il corso della vita di Sergio Solli, avviato ad una carriera da parrucchiere per signora a Chiaia e invece ritrovatosi a indossare i panni di tanti personaggi eduardiani: dal signore Pastorelli nel "Natale in Casa Cupiello" in tv nel 1977, colui che nel terzo atto aspetta il caffè prima d'andar via, all'usuraio Pascale ‘o nasone in attesa di giustizia da don Antonio Barracano contro Vicienzo ‘o Cuozzo nel "Sindaco del rione Sanità".
Solli fu diverso da molti suoi colleghi. Non appartenne mai a quella categoria di artisti napoletani che sottolinearono ex post la severità e il carattere di Eduardo. Anzi. A Repubblica, in un'intervista di qualche anno, fa spiegò la sua percezione, ben diversa:
Eduardo doveva essere severo, l’ho sempre apprezzato.
Ma fuori dal teatro era un pezzo di pane
Dieci anni di tavola-tavola, chiodo-chiodo con De Filippo, dalla metà degli anni Settanta fino all'ingresso degli Ottanta senza però limitarsi a quello, operando da attore pieno, completo: cinema, teatro, televisione. Ruoli non sempre apicali ma tutti di spessore, tutti lasciando qualcosa in più ai registi e alla sceneggiatura.
Magro, occhi azzurri, capelli sottili all'indietro, sorriso tagliente o buonissimo, alla bisogna coi baffi, poteva essere la carogna Casaluce in "Certi Bambini" dei fratelli Frazzi, il barone universitario trafficone di "Smetto quando voglio" di Sidney Sibilia, il pazzo al telefono in "No grazie il caffè mi rende nervoso" con Massimo Troisi o l'ambiguo e compromesso questore Guida del "Romanzo di una strage" di Marco Tullio Giordana.
Entrava nelle commedie di Vanzina, duettava con Ezio Greggio , poi passava ai personaggi di Mariano Rigillo, Mario Martone e Lina Wertmuller. Attore totale. Amato dal pubblico perché, come disse Woody Allen dopo aver visto un suo provino e lo volle per "To Rome with Love" «è una faccia che non si dimentica».
Amato poiché lo spazzino Saverio che «torna fra mezz'ora a passare la cera» e chiacchiera di numeri al Lotto, Guerra fredda e del «monaco rattuso» con Salvatore (Benedetto Casillo), vice-sostituto portiere in "Così parlò Bellavista" e "Il mistero di Bellavista" di Luciano De Crescenzo è uno dei personaggi più riusciti di un certo cinema degli anni Ottanta.
Quello che raccontò una Napoli non rassegnata alle brutture del post-terremoto e delle guerre di camorra.Una città che nonostante l'orrore si armava d'ironia per tirare avanti.
Una cosa ricorderemo più di altre di Sergio Solli: lo sguardo. Poteva essere schifato, cattivo, mellifluo, ironico, amaro. Quegli occhi azzurrissimi, ingrigiti un po' solo dall'età tenevano dentro mezzo secolo di mestiere e chissà quante ore passate a osservare: persone, fatti, altri attori, registi, storie. Teneva dentro tutto e faceva uscire solo ciò che era necessario al personaggio. Artisti così nascono raramente.