“A scuola porto l’eredità della mia famiglia antifascista”: il ricordo di una professoressa napoletana

"Sono i più giovani che devono lottare, i più grandi si sono lasciati andare e non si sono assunti responsabilità, ora invece è il momento di impegnarsi, anche nel quotidiano. Non servono gesti eroici o potere, si può combattere sempre, purché si continui a credere". Elena Bianco, 70 anni, per tutta la vita ha insegnato agli studenti della provincia di Napoli. Per quasi 40 anni ha preso il suo posto in cattedra davanti ai liceali di una delle province più giovani di Italia allo scopo di trasmettere il sapere di Dante, Montale, degli autori latini, e non solo.
Durante la sua carriera tra i banchi la professoressa ha portato anche qualcos'altro, un complesso di valori di cui è erede attraverso la storia della sua famiglia che negli anni Trenta del Novecento ha sperimentato le ritorsioni del regime: "Mio nonno, Carlo Compagnone, non accettò mai di iscriversi al partito fascista, e questa scelta gli costò cara: perse la tipografia e la sorte di tutta la famiglia cambiò".
Quest'anno le celebrazioni per il 25 aprile dovranno essere "sobrie", in ottemperanza dei 5 giorni di lutto nazionale voluti dal Governo Meloni, e in un momento storico in cui l'ombra lunga della destra si staglia sull’Europa, è possibile che molti si chiedano: ha senso continuare a celebrare la Resistenza? Come avviene ogni volta che si prova a raccontare la verità, la risposta non è semplice: "Viviamo in un momento in cui ritornano sovranismi e nazionalismi, eppure tutti sembrano credere che l'antifascismo sia morto. Ci resta solo una certezza: la Storia si ripete, e quindi insegna, ma noi fingiamo di non capire", è la risposta di Elena.
Per la professoressa esiste un argine, ed è nei giovani, un insegnamento che lei stessa ha ricevuto in eredità per linea materna, prima da suo nonno e poi da suo zio, e che per decenni a sua volta ha trasmesso in classe: "A scuola si deve fare politica, non partitismo, e io ce l'ho messa tutta per trasmettere questa idea. Abbiamo l'obbligo morale di tramandare la libertà di pensiero, e di mostrare che, se non ci si impegna, questa alla fine decade".
Essere antifascisti durante il regime

La storia della famiglia antifascista di Elena Bianco inizia nel 1893 con la nascita di suo nonno, Carlo Compagnone, ad Agerola, nei monti Lattari. Una realtà forse troppo piccola per i Compagnone che decisero di stabilirsi nella più grande città di Ottaviano, dove Carlo e i suoi quattro fratelli poterono studiare e aprire una tipografia.
L'obbligo di frequentare la scuola elementare è stato introdotto nel 1859, ma la vera svolta per l'alfabetizzazione di massa si avrà solo nel Novecento inoltrato. Quando la tipografia dei Compagnone era in attività erano ancora pochissime le persone in grado di leggere e scrivere, tuttavia, proprio grazie a questa Carlo riuscì ad avere accesso a una grande quantità di testi di ogni genere: letteratura, filosofia, attualità. Forse è proprio sui banchetti della tipografia che è sbocciata in lui la prima forma di resistenza: l'autonomia di pensiero. La stessa che negli anni del regime fascista fu la causa della dispersione della famiglia di Carlo e dell'allontanamento da Ottaviano.
Elena è calma mentre racconta di quei momenti, precedenti alla sua nascita: "Carlo arrivò a Ottaviano perché suo padre era stato nominato segretario comunale del paese, era una famiglia benestante che aveva dato ai figli la possibilità di studiare, e loro l'avevano coltivata. Sotto il Fascismo nessuno si piegò, e di questa memoria raccolgo soprattutto il lungo periodo di difficoltà economica dei 5 figlioli che ebbe Carlo, compresa la mia mamma. Mi hanno trasmesso i valori, ma anche la sofferenza che si paga per poterli seguire".
Non iscriversi al partito fascista negli anni del predominio di Mussolini significava, nel migliore dei casi, venire tagliati fuori dalla società dei conformisti, quelli che la camicia nera la indossavano per quieto vivere, mentre nel peggiore voleva dire subire rappresaglie reiterate e violente. Carlo non si piegò, e il conto fu salato: la tipografia chiuse, ma la libertà per la quale aveva lottato sopravvisse, e anni dopo fu il figlio Vincenzo a raccogliere l'impegno civile.
"Tra i 5 figli di mio nonno Carlo quello che ha ereditato più di tutti la cultura antifascista è stato Vincenzo, nato il 16 marzo 1922 a Somma Vesuviana – ricorda Elena – Era attivo politicamente e iscritto al Partito Comunista, un militante a tutti gli effetti. Di lui abbiamo notizie più precise, e sappiamo che subì ritorsioni per il suo attivismo. La principale fu che perse la possibilità di subentrare al padre nel suo lavoro al Bancolotto, posto che aveva trovato dopo la chiusura della tipografia. All'epoca era uso comune che i figli prendessero il posto di lavoro del padre al momento del loro pensionamento, questo però per Vincenzo non fu possibile, e il motivo ancora una volta è da ricercarsi nella volontà di non piegarsi".
Vincenzo è morto nel 2000 senza lasciare traccia di quel vissuto se non nella memoria della fede politica alla quale aveva dato se stesso: "I funerali che si tennero a Ottaviano furono accompagnati dal rispetto del Partito, segnalato anche dalla presenza di persone importanti in quel momento. Questo episodio mi è rimasto impresso perché invece io lo ricordo sempre come una persona modesta e riservata, anche nella difficoltà".
Di lui oggi resta la decorazione per meriti di guerra, per aver combattuto a Pola, città croata a lungo oggetto contesa dal Regno d'Italia, e anche il ricordo dei figli e della nipote Elena, che ne coltiva l'eredità sui banchi di scuola.

L’antifascismo a scuola: "Faccio leggere i poeti che hanno vissuta la Guerra e il Fascismo"
In un momento in cui la scuola è esposta a tutte le storture di un sistema che non premia il merito, come è emerso grazie al lavoro di inchiesta di Fanpage.it, La professoressa Elena Bianco cerca di lasciare una traccia dell'insegnamento ricevuto dal nonno Carlo e dallo zio Vincenzo.
"Cerco di trasmettere i miei valori agli studenti attraverso gli autori. In questo Dante è un libro aperto e ha aiutato moltissimo i ragazzi – spiega – Poi, avvicinandoci al Novecento troviamo gli intellettuali di destra e di sinistra e i testi che trattano chiaramente il Fascismo. Io ho fatto parlare moltissimo i grandi poeti: Ungaretti, Montale, Quasimodo. Perché la cosa più importante è far leggere i testi in maniera diretta. Spesso questi nascondo una cronaca più accurata anche rispetto a quella fornita dall'informazione".
Oggi Elena è in pensione a Torre del Greco, la città del corallo, da dove vede il dissolversi lento della coscienza politica collettiva, ma non per colpa dei giovani: "Anche per me certi mondi ideali sono caduti. C'è una sinistra molto debole, spaccata, quindi capisco che sia difficile riconoscersi in lei. Malgrado tutto, però, la storia della mia famiglia mi ha aiutato molto, e spero che attraverso me abbia aiutato anche le ragazze e i ragazzi delle mie classi".