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Mps in affanno, ricorrerà ad aiuti di stato

Dopo aver invano tentato la strada delle dismissioni e dell’emissione di nuovo debito Mps deve ricorrere a titoli simili ai Tremonti bond. Che il Tesoro sottoscriverà per un massimo di 3,9 miliardi ritirando la vecchia emissione.
A cura di Luca Spoldi
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La Banca Monte dei Paschi di Siena

C’è una banca in Italia che sembrerebbe sufficientemente solida a guardare il suo ultimo bilancio: circa 38 mila nuovi clienti acquisiti nei soli primi tre mesi dell’anno (contro i circa 50 mila guadagnati nell’intero 2011 e i 72 mila acquisiti nel 2010), un patrimonio complessivo (“total asset”) di oltre 230,67 miliardi (+0,5% su base annua) di cui 146,6 rappresentati da prestiti alla clientela (-4,6% rispetto al marzo 2011) a fronte di 137,3 miliardi di depositi ed emissioni obbligazionarie (-13,8%, fate scattare un piccolo campanello d’allarme nella vostra testa) rappresentati per 63,18 miliardi da conti correnti (-6,3%), per 6,93 miliardi da più onerosi conti di deposito (-59,9%) per 60,3 miliardi da bond (stabili, a conferma di quanto sia difficile andare sui mercati di questi tempi con nuove emissioni) e circa 8 miliardi di “altri tipi di raccolta diretta” (-51,8%).

La banca in questione ha saputo accendere 700 milioni di euro di nuovi mutui nei primi tre mesi del 2012, anche se il totale dei mutui si è nel complesso ridotto del 2,9% su base annua a 87,3 miliardi di euro circa (erano stati 89,9 miliardi a fine marzo 2011), un segnale incoraggiante che però viene a scontrarsi (fate scattare un secondo campanello d’allarme nella vostra testa) con prestiti “non performing” (ossia che non vengono rimborsati alle scadenze prestabilite) pari a 15,12 miliardi lordi (+4,4% rispetto a fine 2011) ossia a 6,69 miliardi netti (+3,8% rispetto a fine 2011). Se poi vi ricordaste degli ultimi dati che dicono che in Italia cresce mese dopo mese il numero di aziende che pagano in ritardo o non pagano affatto i propri fornitori e dipendenti e che lo stato per primo è tra i peggiori pagatori, con ritardi a volte di mesi o anche di anni rispetto all’effettuazione dei servizi richiesti, non pare il caso di stare troppo tranquilli, vero?

La banca in questione con tenacia ha finora ribattuto a muso duro ad ogni ipotesi di ulteriore rafforzamento patrimoniale tramite aumento di capitale (si capisce: il principale azionista ha già dovuto vendere una fetta consistente di azioni per rientrare da un eccesso di indebitamento bancario e ora controlla solo più il 37,56% del capitale) e d’altra parte di molte cessioni ipotizzate ha finora portato a termine solo una dismissione per circa 200 milioni di euro. Rinviando ogni altra cessione visto che i prezzi che i potenziali acquirenti sono disposti a riconoscere per interi rami d’azienda o per singole filiali appaiono molto distanti sia dai valori ai quali sono in carico in bilancio sia dalle cifre che speravano di ottenere i nuovi vertici dell’istituto, che recriminano ormai apertamente sugli “errori” compiuti in passato da chi sedeva al loro posto e comprava asset a valutazioni elevate, riflessesi in avviamenti multimiliardari puntualmente abbattuti in misura drastica giusto alla fine dello scorso anno.

Così è un colpo di scena a metà quello che alla fine ha coinvolto l’istituto in questione, che se non l’aveste ancora capito è il Monte dei Paschi di Siena. Ci si attendeva in giornata il via libera al piano industriale e l’annuncio delle ultime misure utili  a colmare un gap stimato dal mercato in 1-1,3 miliardi di euro di mezzi freschi (rispetto alle richieste avanzate dall’Eba in termini di buffer di capitali da costituire entro fine giugno per assicurarsi un Core Tier 1 pari almeno al 9%) e invece è arrivata una nota ufficiale di Palazzo Chigi in cui si annuncia che “il Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell’Economia e delle finanze, ha approvato misure urgenti per l’incremento della dotazione patrimoniale della Banca Monte dei Paschi di Siena Spa in attuazione della Dichiarazione dei Capi di Stato o di Governo dell’Ue del 26 ottobre 2011 sulle misure di rafforzamento del settore bancario”, al fine di garantire l’ottemperanza alle richieste dell’authority bancaria europea.

Il governo interverrà “sottoscrivendo nuovi strumenti finanziari di patrimonializzazione assimilabili a obbligazioni speciali, simili ai cosiddetti Tremonti Bond” per un importo massimo che sulla base di alcune valutazioni della Banca d’Italia (che ha stimato un fabbisogno patrimoniale da colmare, comprensivo del rischio sovrano tra 1,3 e 1,7 miliardi) è stato fissato a 2 miliardi. Attenzione: “con la nuova sottoscrizione saranno contestualmente sostituiti i “Tremonti bond” emessi da Mps nel 2009 per un importo di 1,9 miliardi di euro” dunque gli “aiuti di stato”, effettuati dunque coi soldi dei contribuenti italiani, potrebbero di fatto sfiorare i 4 miliardi di euro. Ogni altra alternativa all’intervento diretto del Governo si è rivelata, spiega la nota di Palazzo Chigi, impossibile per l’ammissione da parte dello stesso Mps, “di cui la Banca d’Italia ha preso atto, di ricorrere, per una parte dell’importo richiesto dall’Eba, a soluzioni private di rafforzamento del patrimonio a causa delle attuali condizioni di mercato altamente volatili”.

Il tutto non è privo di costi (e di rischi) almeno per due ordini di motivi: primo, che la sottoscrizione dei nuovi bond da parte del Governo resta “soggetta all’acquisizione della decisione della Commissione europea sulla compatibilità delle misure previste con il quadro normativo dell’Unione europea in materia di aiuti di Stato e alla presentazione di un piano di ristrutturazione da parte di Mps”, ossia a una valutazione “politica” a livello europeo dell’operazione. Secondo, come segnalavano stamane gli analisti di Mediobanca, il ricorso a nuovi “Tremonti bond” implicherà una netta riduzione dell’utile stimato per 2013 e dunque dei futuri dividendi per gli azionisti. Se calcoliamo lo stesso interesse per i Tremonti Bond presi nel 2009 (8,5%) – scrivono gli analisti – il totale degli interessi salirebbe a 240 milioni di euro all’anno, che andrebbero a prosciugare circa il 60% degli utili stimati per il 2013, lasciando poco spazio sia per la generazione interna di capitale sia per la remunerazione degli azionisti.

I nuovi bond costeranno come (o più) dei vecchi? Non si sa ancora, ma le condizioni di mercato attuali non sembrano molto migliori di quelle presenti nel 2009, mentre Mps si trova a dover rimborsare nel prossimo quinquennio, secondo dati disponibili sui database dell’agenzia Bloomberg, emissioni obbligazionarie per oltre 96,5 miliardi di euro (a fronte di poco più di 105 miliardi di euro di bond in circolazione). A questo punto sperare che l’investimento in Mps possa rivelarsi proficuo per la Fondazione Montepaschi o per gli azionisti privati entrati di recente come gli Aleotti, sembra difficile. E forse si capisce meglio perché un investitore non certo sprovveduto come l’imprenditore edile ed editore romano Francesco Gaetano Caltagirone, da otto anni “socio forte” in Mps, abbia preferito qualche mese fa smobilizzare le sue quote per far rotta su UniCredit.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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