Morto per carenza di ossigeno mentre tenta di scalare l’Everest: è la decima vittima della stagione
Robin Haynes Fisher, alpinista 44enne, è l'ennesima è la nona vittima in una sola settimana dell'Everest, la montagna più alta del mondo. L'uomo aveva deciso di rimandare l'attacco alla vetta di qualche giorno per scongiurare i pericoli collegati al sovraffollamento, invece non è riuscito a salvarsi e – come molti altri – ha perso la vita nella cosiddetta zona della morte, in un'area in cui l'ossigeno è estremamente rarefatto: la scorta delle bombole non è stata sufficiente, come è accaduto quest'anno ad altre nove persone che, in fila per aspettare il proprio turno di raggiungere la vetta, sono finite in deficit e sono morte. Gli esperti del posto sono convinti che a causare le vittime siano proprio le attese in coda, che risucchiano le limitate scorte di ossigeno degli alpinisti e li espongono più a lungo ai venti forti.
Kristyn Carriere, fidanzata di Fisher, ha commentato: "Il mio cuore è spezzato. Lui ha raggiunto il suo obiettivo: era la sua ultima sfida". Appassionato di montagna ma anche di Triathlon, il 44enne coltivava il sogno di portare a termine l'impresa della scalata all'Everest. Come molti altri alpinisti non professionisti aveva compiuto buona parte del suo percorso, ma quando ha dovuto sostare per attendere il suo turno ha ultimato le scorte di ossigeno: le guide hanno tentato di cambiargli la bombola, ma non sono riusciti a salvarlo.
Robin Haynes Fisher è la decima vittima dell'anno. Il giorno precedente è morto un alpinista irlandese di 56 anni mentre prima ancora avevano perso la vita quattro alpinisti indiani, uno statunitense, un austriaco e un nepalese. Un altro climber irlandese è invece scomparso, si ritiene sia deceduto dopo essere scivolato vicino alla cima.