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Morto Muhammad Ali, il pugno d’acciaio corroso dal Parkinson

Cassius Clay, icona di un tempo, è morto all’età di 74 anni. L’uomo che disse no al Vietnam, il campione dei diritti civili alla sua leggenda dette il nome di Muhammad Alì.
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Agli schiavi neri negli Stati Uniti d’America veniva assegnato il cognome dei loro padroni. Saranno proprio due eredi di schiavi a cambiare la storia. Uno si chiama Malcolm Little. L’altro è Cassius Clay, la più grande icona sportiva del Novecento, morto per gravi difficoltà respiratorie dopo il ricovero in ospedale a Phoenix avvenuto nei giorni scorsi, conseguenza del morbo di Parkinson di cui soffre dal 1984. Quando si incontrano, il primo si fa già chiamare Malcolm X, in segno di rifiuto del legame anagrafico con i padroni di un tempo presso cui i suoi antenati avevano servito, ed è il principale predicatore della Nation of Islam (NOI). Il secondo prenderà un nome musulmano, Muhammad Ali. E niente sarà più come prima. La vicinanza con la Nation of Islam lo porta a rifiutare di partire per la guerra del Vietnam e a chiedere l’obiezione di coscienza perché, dice «I vietcong non mi hanno mai chiamato negro». È già campione del mondo Clay, ha messo ko il favorito Sonny Liston e poi si è affacciato dalle corde per gridare più volte ai giornalisti: «Io sono il più grande!».

Muhammad Ali è deceduto all'età di 74 anni dopo il ricovero in ospedale
Muhammad Ali è deceduto all'età di 74 anni dopo il ricovero in ospedale

Dalle pietre all'oro – Cassius Marcellus Clay lo sentiva, di essere il più grande, già da piccolo, da quando chiedeva al fratellino Rudy di tirargli addosso delle pietre. E lui, che già volava come una farfalla e pungeva come un'ape, le scansava tutte. Ma la fiamma da sola non basta, per fare grande un ragazzino di colore troppo vivace nella Louisville degli anni Cinquanta. Serve un incontro, serve qualcuno che la riconosca e gli dia un obiettivo. E quel qualcuno arriva.

È l'ottobre del 1954 e al dodicenne Cassius hanno rubato la bicicletta fuori dal Louisville Home Show. Va dal poliziotto di guardia, è infuriato, grida che vuole ammazzare di botte il ladro. Il poliziotto, Joe Martin, è anche istruttore di pugilato nella palestra di Louisville, e dà forma all'impeto. “Bene” risponde, “però faresti meglio a imparare come combattere prima di cominciare a minacciare la gente”. Passano sei anni e Clay è medaglia d'oro olimpica nei pesi mediomassimi ai giochi di Roma. Al ritorno negli Usa, non viene servito in un ristorante segregato di Louisville e per protesta lancia la medaglia olimpica nel fiume Ohio.

Il primo titolo – Passa professionista e con i soldi del primo contratto regala alla madre una springsteeniana Cadillac rosa e nel primo combattimento mette ko Tunney Hunsaker, capo della polizia di Fayetteville. Nel '61 arriva a Louisville l'allenatore Angelo Dundee, in Kentucky insieme a uno dei suoi pugili, Willie Pastrano. “Eravamo in camera quando suonò il telefono” ha raccontato. “Era questo ragazzino: ‘Signor Dundee, mi chiamo Cassius Clay'. Mi chiese di incontrarlo e mi fece un lungo elenco di titoli che avrebbe voluto vincere. Misi la mano sulla cornetta e dissi a Willie: ‘C'è un matto al telefono, vuole incontrarti!'”.

Dundee diventerà l'allenatore di quel ragazzo un po' matto che diceva di voler diventare campione del mondo. C'era al suo angolo quando ha messo ko Liston nel 1964, il giorno prima di annunciare l'entrata nella Nation of Islam e il cambio di nome. È stato lui a pulirgli il viso al termine del quarto round, quando Ali è sul punto di abbandonare con gli occhi gonfi e doloranti (secondo il clan di Clay per una sostanza urticante spalmata sui guanti di Liston, accusa mai confermata), e a spingerlo a continuare.

Il pugno fantasma e il no al Vietnam – C'è anche a Lewiston, nel Maine, nella città più piccola ad aver ospitato un combattimento per il titolo mondiale dei massimi dal 1923, quando Jack Dempsey ha battuto Tom Gibbons a Shelby, Montana, per la rivincita finita al primo round con il pugno fantasma. Ali continua a dire che l’ha colpito, che ha sentito il contatto. Ma si sviluppano presto voci secondo le quali Liston, che dal 1953 era nelle mani della mafia guidata da Frankie «the Grey» Carbo, figlioccio di Vito Genovese, cui si ispirano Mario Puzo e Francis Ford Coppola per Il Padrino, avrebbe finto di essere stato tramortito perché la partita era truccata. Muhammad Ali non può godersi a lungo quella vittoria. Il titolo, infatti, gli viene revocato nel 1967 per il rifiuto di arruolarsi in Vietnam: la condanna per renitenza alla leva è di cinque anni e 10.000 dollari di multa.

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La sfida del secolo – Torna solo nel 1970, e al primo incontro mette ko Jerry Quarry. L'8 marzo 1971 è di nuovo al centro del ring per il titolo mondiale. Il Madison Square Garden, ristrutturato tre anni prima, è pieno come mai prima. Ci sono 20 mila persone sugli spalti. In prima fila arrivano Ted Kennedy, Aretha Franklin, Bing Crosby, Frank Sinatra, eccezionalmente fotografo per la rivista Life, e boss della mafia. La Rai apre alla diretta notturna per la seconda volta nella sua storia dopo l'allunaggio.

Sono le 4.30 di mattina in Italia quando il pacifista Ali, icona della sinistra liberale del “give peace a chance”, entra sul ring per sfidare Smoking Joe Frazier, il vessillo della tradizione conservatrice e dell’idea guerrafondaia di Nixon. È un duello all'Ok Corral. Il “pistolero” Frazier avanza e spara. Ali non è così leggero e pungente come nei giorni migliori. Alla quindicesima ripresa Ali va al tappeto e l’arbitro Arthur Mercante lo conta per quattro secondi. Frazier vince ai punti, con somma di cartellini inequivocabile: 28 a 16. I guanti di Ali in quella che passerà alla storia come la partita del secolo sono stati venduti all'asta per 290 mila euro.

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L'eredità – Sono suoi tutti i combattimenti più importanti del Novecento. La rivincita a New York del 1973, la “bella” del 1975, Thrilla in Manilla”, uno dei più duri nella storia della boxe con abbandono di Frazier alla quattordicesima ripresa. In mezzo, i re Ali e Foreman accettano di chiudere a Kinshasa il 1974 che ha portato lo Zaire nella geografia del mondo. La nazionale dei Leopardi si è qualificata per i Mondiali, ma perde 9-0 con la Jugoslavia e 3-0 dal Brasile con la punizione più famosa della storia, con Mwepu che esce dalla barriera e calcia lontano la palla. Non è incompetenza, è la paura delle ritorsioni del dittatore Mobutu contro quei giocatori che avrebbero dovuto portare la sua ideologia su un campo di pallone e che finiscono per protestare perché non vedranno mai i premi promessi.

Soldi che, pare, sono serviti a pagare Ali e Foreman, sceso dall'aereo con un pastore tedesco. Gli africani si offendono, è il cane che i belgi usavano per le spedizioni punitive. L'Ali boumayé, Ali uccidilo, che risuona al Tata Raphael di Kinshasa, nasce quel giorno. Ali parla senza sosta, affascina, affabula, e sul ring incassa, non scansa le pietre come faceva da piccolo contro il fratello. Fa sfogare il nemico, che all'ottavo round si sfianca, e lo sfidante risorse, vola, punge, balla, e colpisce: quattro pugni, quattro assi bastano per chiudere il capolavoro di un'icona che diventerà fumetto e salverà la Terra dagli alieni battendosi contro Superman.

Diventato il primo pugile capace di tornare tre volte campione del mondo dei massimi nel 1978, si ritira nel 1981. Scopre di essere affetto dal morbo di Parkinson e commuove il mondo quando accende il fuoco olimpico a Atlanta. Quel fuoco che ha sentito dentro fin da piccolo, il fuoco dei campioni e della pace.

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