Daniela ha 14 anni e dei seri disturbi psichiatrici quando, in una sera di ottobre del 2003, scompare dalla comunità per ragazzi ‘difficili' di Perugia dove è ricoverata. Non è la prima volta che si allontana dal casale nel verde di Bettona nel tentativo di tornare in quella che chiama casa e che, per Daniela San Juan, nata in California da padre argentino e madre italiana e vissuta tra la Campania e l'America del Sud, rappresenta un luogo geograficamente indefinito. Parte delle sue radici è a Buenos Aires dove vive il suo papà e l'altra parte a Piano di Sorrento, dove si sono stabilite dopo la separazione mamma Anna e la sorella Ester. Questa volta, però, a differenza delle precedenti fughe disperate dove la fragile Daniela veniva sempre soccorsa, di lei non ci sono tracce. Questa volta è andata più lontano.
L'equilibrio spezzato
Parte la corsa agli ospedali, alle stazioni, ai rifugi per senzatetto. C'è chi giura di averla vista in Campania, aggirarsi sudicia e confusa alla stazione centrale di Napoli eppure, nonostante le ripetute segnalazioni alla trasmissione ‘Chi l'ha visto?' , di lei non si trova traccia. Allora si prova a ricostruire il suo doloroso passato, con la separazione dei suoi e quella permanenza di sette mesi a Miami con il padre, l'ultimo periodo prima del buio dei disturbi. Sì, perché al ritorno in Italia Daniela non è più la stessa, è traumatizzata, aggressiva, recalcitrante. Per questo, preoccupata, sua madre la sottopone a diversi consulti psichiatrici che portano tutti alla decisione, caldeggiata dai Servizi sociali, di affidarla a una comunità assistenziale per ragazzi.
Ultima tappa Bettona
Da Meta Di Sorrento, Daniela viene sradicata di nuovo per trasferirsi nella verde Umbria, dove la comunità il Piccolo Carro, guidata dai pastori della chiesa evangelica pentecostale ‘A Braccia aperte', i coniugi Cristina Aristei e il marito Pietro Salerno, le apre le porte. In comunità Daniela non progredisce, anzi, involve, si chiude sempre di più finché il Tribunale di Napoli, competente sul caso, dopo l’ennesima fuga, chiede che la ragazza venga trasferita in una struttura più idonea, ma ciò non accade e la mattina del 23 ottobre Daniela sparisce per sempre. Nel 2004, appena un anno dopo, le ricerche vengono sospese e il caso viene archiviato dal PM di Perugia come allontanamento volontario.
Un temporale di febbraio
Daniela viene dimenticata finché, una mattina di febbraio di dieci anni dopo, un violento temporale fa riaffiorare il frammento di un teschio umano dal fango del boschetto che circonda la struttura de il Piccolo Carro. A giudicare dalla forma e dimensione, si tratta del teschio di una giovanissima donna e nonostante il pensiero vada subito a Daniela, ci vorranno altri tre anni per avere la conferma, dal test del DNA che quel pezzo di calotta cranica appartiene proprio a lei. No, non era fuggita in America, non era stata rapita, come affermato dagli sciacalli che tentarono di depistare le indagini e non era neanche finita nel giro della prostituzione, come temuto da suo padre Daniel, ma era sempre stata lì, a pochi passi dal cancello della comunità.
L'inchiesta per omicidio
Il ritrovamento fa scattare un'indagine per omicidio colposo a carico degli amministratori de Il piccolo carro. Ma mentre si rivela impossibile risalire alla causa della morte di Daniela, che potrebbe essere rimasta vittima di un incidente – ma anche di un'aggressione – un enorme faro si accende sulle attività di Cristina Aristei e il marito Pietro Salerno, titolari di ben sei strutture assistenziali per minori con ricavi complessivi, stando al bilancio del 2015, per quasi 5 milioni di euro. E allora mentre rappresenta la famiglia Sanjuan per la morte della piccola Daniela, l'avvocato Antonio La Scala, presidente di Penelope Italia, scopre che ‘Il piccolo carro' aveva avviato la sua attività socioassistenziali senza aver ancora avuto i permessi della Regione Umbria e utilizzava terapie farmacologiche con gli ospiti, senza averne le autorizzazioni. Sì, perché una comunità non è un ospedale e i ragazzi non sono pazienti, ma ospiti di cui ci si deve prendere cura senza ricorrere all'uso di sedativi o altro tipo di farmaci.
Il caso Sara Bosco
A riportare la cooperativa agli onori delle cronache, nel 2016, sarà la morte di Sara Bosco, sedicenne della provincia romana con problemi di tossicodipendenza, spirata tre giorni dopo la sua fuga dal casale di Bettona nell'ospedale Forlanini di Roma, per overdose.
L'epilogo
Oggi, a carico della cooperativa di Salerno e Aristei ci sono due inchieste aperte riguardanti il sequestro della struttura (con la confisca di beni per 5,6 milioni di euro) e il reato di truffa ai danni della Regione. Quanto a Daniela, un anno il Gup fa ha disposto l'archiviazione dell'indagine per omicidio per decorrenza dei termini di prescrizione, che in caso di omicidio colposo corrispondono a sei anni. È troppo tardi per scoprire cosa è successo a Daniela. Potrebbe aver avuto un incidente scappando nel bosco o essersi persa, morendo di stenti, a 600 metri dal casale della cooperativa, o forse era già priva di vita quando il suo corpo è stato abbandonato a pochi passi dal cancello. Accanto a nessuna di queste immagini, intrise di orrore e miseria, suona bene la parola ‘archiviazione'.