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Opinioni

Mille voci su Telecom Italia, dove sarà la verità?

Telecom Italia è al centro delle voci più disparate e il titolo finisce sull’ottovolante. Ma chi potrebbe davvero volere una società indebitata, con fatturato e utili in calo e il cui valore è crollato negli ultimi sei anni?
A cura di Luca Spoldi
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Gli anglosassoni, gente spiccia, usano un termine piuttosto ruvido (“bullshit”) per indicare quelle voci create ad arte solo per far parlare di qualcosa, che sia un’azienda o un personaggio dello spettacolo. Voci che nella grande maggioranza dei casi si rivelano del tutto inconsistenti ma che, nel caso dei titoli quotati in borsa, vanno tenute d’occhio perché in grado di procurare spesso scostamenti significativi, per quanto temporanei, delle quotazioni. La telenovela Telecom Italia, dove da settimane sembra esservi una fila impressionante di compratori ansiosi di rilevare il controllo di un’azienda che ha chiuso i primi sei mesi dell’anno con un indebitamento netto di 28,8 miliardi (destinati a calare a 27 miliardi entro fine anno secondo il top management del gruppo) a fronte di ricavi in calo nel periodo a 13,76 miliardi (il 2,7% in meno del primo semestre 2012) e di un Ebitda di 5.236 milioni di euro (-6,8% in termini organici, sempre rispetto al primo semestre 2012), potrebbe rivelarsi dunque l’ennesima “falsa partenza”. Ma anche no.

Certo a metterli in fila i “pretendenti” sembrano non mancare: sulla stampa si è parlato di interessi da parte di Hutchinson Whampoa (disposta a portare in dote 3 Italia e forse qualche paccata di milioni pur di entrare tra i “soci forti” dell’ex monopolista telefonico italiano), arrivato sino a trattative ufficiali poi però arenatesi senza approdare ad alcuna intesa concreta; si è parlato America Movil, stoppata nel  suo tentativo di rilevare il 70% che ancora non controlla dell’olandese Kpn (che intanto ha ceduto, col consenso della società di Carlos Slim, la controllata tedesca E-Plus a Telefonica, attuale socio di controllo di Telecom Italia tramite Telco) e forte di una liquidità sui 3 miliardi di dollari per nuove acquisizioni in Europa; si è anche parlato della possibilità che la Vodafone guidata da Vittorio Colao, dopo aver incassato 130 miliardi di dollari da Verizon Communication per cederle il suo 45% di Verizon Wireless (di cui 60 miliardi in contanti) potesse guardare al Belpaese o che, in alternativa, a cercare il “colpaccio” potesse essere AT&T, concorrente statunitense di Verizon che potrebbe essere tentata dal rendere pariglia.

Le ultime voci, in ordine cronologico, si sono incentrate su Naguib Sawiris, uomo d’affari egiziano già proprietario di Orascom Telecom (a sua volta controllante di Wind), il cui 51,7% (e il 100% di Wind) venne ceduto nel 2011 ai russi di VimpelCom e che secondo alcuni potrebbe riproporre l’offerta da 3 miliardi di euro già avanzata un anno fa ma rigettata dai soci di Telco. Sull’onda di queste indiscrezioni e nonostante che il presidente Franco Bernabè (che alcuni giornali italiani danno ormai “in disgrazia” presso i soci italiani di Telco, che pagarono nel 2007 2,2 euro per azione e si ritrovano ora in mano titoli che fino al mese scorso valevano attorno a mezzo euro per azione ed oggi sfiorano i 60 centesimi l’uno) abbia ribadito, ed è curioso, che al gruppo più che un nuovo “socio industriale” (al posto di Telefonica) serve un nuovo piano industriale, il titolo ha guadagnato il 16,5% nell’ultima settimana, tra volumi elevati e volatilità pure in crescita come logico che sia in questi casi.

Nelle ultime ore poi si è ipotizzato che possa essere proprio Telefonica (46,18% di Telco) a fondersi con Telecom Italia, nel caso in cui come possibile (probabile?) almeno Generali e Mediobanca (socie rispettivamente al 30,58% e all’11,62% di Telco, che di Telecom Italia controlla il 22,3%) e forse anche Intesa Sanpaolo (altro 11,62% di Telco) approfittino della “finestra” apertasi da inizio mese al 28 settembre per disdettare anticipatamente i patti e chiedere la scissione proporzionale della holding, tornando in possesso dei propri titoli Telecom Italia che a quel punto potrebbero rapidamente cambiare di mano. Del resto in una nota di alcune settimane fa gli analisti di Societe Generale già sottolineavano come “da inizio anno si fa fatica a trovare una equity story nelle telecomunicazioni europee che abbia destato più domande di Telecom Italia”, visto che vi sono dubbi sull’andamento dei margini, sull’eventuale scorporo della rete fissa (e nel caso su quanti dipendenti verrebbero “girati” al futuro compratore, che alcuni individuano nella Cassa depositi e prestiti) e ovviamente sui “via libera” politici ad un qualsiasi avvicendamento tra i soci.

Dal canto loro in una nota di ieri Ubs ha ribadito di ritenere “insostenibili” i fondamentali del gruppo e prevedeva un calo “strutturale” degli utili, riducendo pertanto il giudizio sul titolo da “hold” (mantenere” a “sell” (vendere), tagliando il target price da 0,45 a 0,35 euro per azione (vale a dire un 40% abbondante sotto i livelli attuali delle quotazioni di borsa), ma qualcuno ha fatto notare che il gruppo svizzero ha agito da advisor per Vodafone nelle trattative con Verizon, quasi a dire: “chi disprezza, vuol comprare”? A questo punto mi pare che l’unica cosa certa sia che la confusione è massima sotto questo cielo, il che per un’azienda non è mai il massimo. Probabilmente i nodi sono destinati a venire al pettine nei prossimi 10-20 giorni, visto che il 19 settembre è in programma un Cda dove Bernabè potrebbe provare a fare chiarezza.

Sempre che tutto questo “clamore mediatico” (a pensar male si fa peccato ma in Italia a volte ci si becca) non serva a far lievitare le quotazioni per far uscire coi minori danni possibili Mediobanca (che dovrebbe già aver svalutato attorno ai 62 centesimi per azione i propri titoli) e Generali (che come Intesa Sanpaolo ha preannunciato di voler procedere entro fine anno ad un adeguamento del valore a cui la partecipazione è iscritta).In attesa di vedere come andrà a finire, giro ai posteri l'ardua sentenza: di chi è stata la colpa se un gruppo che nel 2007 poteva valere 2,2 euro per azione (e che nel 2004 sfiorava i 3 euro) e capitalizzava oltre 41 miliardi sia arrivato a perdere i tre quarti del proprio valore e a veder sostanzialmente azzerata ogni prospettiva di crescita, finendo anzi col recitare un ruolo di “preda”. Una storia che in Italia abbiamo visto un po’ troppe volte in questi anni per credere che sia stata tutta colpa del destino “cinico e baro”.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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