Violetta Silvera, la storia della deportata raccontata da Liliana Segre: “Ogni pietra ha un volto”
"Entrai con tutta la mia disperazione nel carcere di Varese, da sola, spinta nella cella da una donna che non aveva pietà. Piangevo disperata. C'erano tante donne arrestate in qui giorni sul confine svizzero. Si alzò da giaciglio questa bellissima ragazza che aveva 19 anni, la classica bella ebrea della bibbia, occhi violacei, capelli neri, dolce. Mi abbracciò e disse: non piangere, vieni vicino a me e alla mia mamma". Chi racconta è Liliana Segre, senatrice a vita e sopravvissuta al campo di concentramento di Auschwitz, dove entrò a soli 13 anni. La donna di cui parla si chiamava Violetta Silvera, era poco più grande e anche lei fu deportata nel lager, dove morì.
La storia di Violetta Silvera, la ragazza ricordata da Liliana Segre per spiegare il valore della memoria
La sua storia è stata raccontata dalla senatrice a vita nel 2020 durante la presentazione di 28 pietre d'inciampo che a Milano ricordano altrettante vittime dello sterminio nazi-fascista. Tra le altre c'è anche quella per Andrea Schivo, guardia carceraria a San Vittore deportata per aver aiutato gli ebrei arrestati portando cibo e lettere. La pietra per Violetta è stata posizionata nel 2019, accanto a quelle dei suoi genitori, davanti alla casa dove viveva, in viale Monte Rosa, 18. "Ogni pietra ha una storia, un volto, dei capelli, degli occhi", ha ricordato Segre spiegando l'importanza della memoria e del museo a cielo aperto rappresentato dalle pietre d'inciampo.
"Non ho mai dimenticato e Violetta e la sua mamma che mi tenevano abbracciata"
"I figli maschi di quella famiglia erano in salvo, in Egitto. Il Padre, la madre e figlia Violetta invece furono respinti alla frontiera Svizzera. Io incontrai Violetta in un momento indimenticabile, di cui resta la pietra d'inciampo", ha raccontato Liliana Segre. Dopo l'arresto a Varese insieme al padre, la senatrice a vita fu portata in carcere. Lì incontrò Violetta che la confortò e la tenne stretta: "Fui abbracciata a lei e alla madre, che consolavano il mio pianto stringendomi e dandomi qualcosa da mangiare".
"Quando, dopo varie vicende, ci trovammo sullo stesso vagone, deportate ad Auschwitz, c'era qualcosa tra noi di non detto ma di già detto negli sguardi e nelle lacrime comuni – ha proseguito la senatrice -. All'arrivo fummo separati tutti, lei andò abbracciata alla madre verso il suo destino. Il padre, con il mio, non li vidi mai più. Tra le tante persone incontrate nella mia lunga vita non ho mai dimenticato e Violetta e la sua mamma che mi tenevano abbracciata, sono state per me un punto fondamentale".