Violenze, sparatorie e baby gang, il procuratore Cascone: “Nei giovani la pandemia ha portato rabbia”
Aggressioni e molestie per le vie della città. Ragazzi fuori controllo che aggrediscono giovani donne durante i festeggiamenti per Capodanno in piazza Duomo. Ma anche agenti della polizia locale che vengono aggrediti e disarmati in circostanze da chiarire e sparatorie in strada per regolare i conti che coinvolgono pregiudicati e rapper. La cronaca degli ultimi giorni a Milano restituisce un quadro poco edificante. I protagonisti sono quasi sempre giovani, spesso minorenni, che vivono nel capoluogo, nell'hinterland o che arrivano da fuori regione.
Ma sono solo fortuite circostanze a far inanellare uno dietro l'altro questi episodi, oppure a Milano c'è un reale allarme sicurezza, che coinvolge in particolar modo i giovani? Fanpage.it lo ha chiesto a Ciro Cascone, procuratore del Tribunale per i minorenni di Milano: "Negli ultimi tre anni sono aumentate le ‘baby gang', gruppi formati da giovani maggiorenni e adulti, che commettono aggressioni alcune volte finalizzate alla rapina e altre volte solo con lo scopo di commettere una violenza. Spesso vogliono affermare un'identità territoriale e far valere la propria presenza nei confronti di altri gruppi".
La pandemia quindi ha accentuato le aggressioni in gruppo?
Durante i momenti di grande emergenza sanitaria e di lockdown i "reati da strada" si erano interrotti per poi però riprendere molto più di prima. Paradossalmente la pandemia ha portato a grossi assembramenti. Pensiamo alla rissa di Gallarate, dove vi prese parte un alto numero di giovani. Se prima delle pandemia tutto era riconducibile a un disagio sociale ora dopo la pandemia si manifesta anche la rabbia che per mesi era stata repressa.
Chi sono questi ragazzi? Qual è il loro scopo?
Sono spesso ragazzi che arrivano dalle periferie. A Milano però notiamo un ulteriore elemento di novità, ovvero che spesso i giovani arrivano da fuori città o addirittura regione. Ne è un esempio l'aggressione all'agente di polizia locale, così come le violenze sessuali di Capodanno in piazza Duomo a Milano dove i ragazzi arrivavano anche da Torino e Bergamo. Tanti sono anche gli episodi minori: di solito i giovani vengono a fare una festa in un appartamento e poi scoppia la rissa. Perché spesso una grossa città è vista come un luogo del divertimento e dove è tutto possibile. Se nel loro territorio i ragazzi solitamente non commettono reati, in un'altra città si sentono liberi di fare tutto.
Spesso si parla di disagio sociale…
La maggior parte degli aggressori sono sicuramente ragazzi che vivono in periferia e in situazioni di disagio ambientale e famigliare. Sono ragazzi stranieri, di seconda generazione, e italiani. Che con la loro famiglia non hanno un dialogo educativo. Non c'è una relazione. Per questo crescono senza regole.
E tutti si trovano in gruppo…
Il gruppo è un elemento fondamentale per queste baby gang. Non si uniscono solo per stare o crescere insieme ma anche per fare aggressioni. A Milano alcuni gruppi si identificano con il proprio territorio: i loro nomi sono collegati ai codici di avviamento postale della zona della città in cui vivono. Chi sconfina in un altro territorio viene punito. Altri gruppi si creano sui social: si formano e si sciolgono in fretta. Non sono gruppi strutturati con un leader, sono temporanei. Per questo sono tanti i membri di un gruppo, molti dei quali fanno da spettatori. Ognuno però risponde per sé penalmente. Tutti, anche chi assiste solamente senza intervenire, deve rispondere di una responsabilità etica.
Come si possono fermare questa rabbia e queste aggressioni?
Proviamo a immaginare la vita di questi ragazzi nelle periferie. Passano le giornate a non fare nulla, a girare per le vie: è chiaro che allora hanno tutta questa rabbia repressa che poi esplode. Più è basso poi il livello di scolarità più si alza quello di devianza. Perché questi ragazzi non sono abituati a pensare: così passano all'azione. Non riflettono. Il diritto penale non può risolvere questi problemi: chi ha commesso un reato certo lo si processa e punisce. Ma dovremmo intervenire sulle cause. Come si cura questa rabbia? Regalando opportunità. I giovani che vivono in condizioni di marginalità rischiano di non avere un pensiero, di non avere una progettualità futura. Bisogna lavorare sulle politiche giovanili. Spiegare ai ragazzi che c'è un'etica da rispettare e non ridurre tutto al codice penale.
Quanto spesso, una volta scontata la pena, questi ragazzini ricommettono altri reati?
La pena deve essere rieducativa. Ai ragazzi si cerca di proporre percorsi diversi da quello del carcere. Tanti colgono questa occasione, la maggior parte poi rispetta le regole della comunità. Qualcuno non ci riesce: allora dobbiamo chiederci se siamo arrivati tardi e se abbiamo fatto tutto il possibile.
Le vittime di una baby gang sono più spesso donne?
Non possiamo generalizzare. Le ragazze sono vittime perché spesso considerate oggetto di possesso. Se si pensa ai fatti di Capodanno per molti c'è stata l'idea che toccare una ragazza è permesso. Manca il concetto di rispetto. Noto però che le aggressioni nella maggior parte dei casi sono regolamenti di conti tra gruppi territoriali. Maschi contro maschi. Dei gruppi fanno parte anche alcune ragazze, ma hanno un ruolo più marginale.
Cosa deve fare Milano?
Bisogna rivedere i livelli di sicurezza della città. Poi avere uno sguardo più lungo per risolvere il problema del disagio giovanile: perché bisogna evitare che questi ragazzi diventino adulti violenti. Allora rischiano di essere un ulteriore grave problema per la città. Dobbiamo lavorare sul senso di comunità che troppo spesso manca.