Violentata mentre va al lavoro all’ospedale San Raffaele: stupratore condannato a sei anni e mezzo
"La sola cosa che voglio sapere di lui è quanti anni rimarrà dentro", aveva detto la ragazza che lo scorso 9 agosto era stata violentata da un uomo vicino alla metro di Cascina Gobba a Milano, mentre andava a lavorare all'ospedale San Raffaele. E adesso c'è una prima risposta: è stato infatti condannato a sei anni e mezzo di carcere Haitham Mahmoud Abdelshafi Ahmed Masoud, il 31enne colpevole del brutale stupro. Masoud, che era stato arrestato tre settimane dopo la violenza, era imputato col rito abbreviato davanti al giudice per l'udienza preliminare Tommaso Perna. Il pubblico ministero aveva chiesto per lui otto anni di carcere, ma il giudice ha deciso per una pena lievemente inferiore, alla quale però si dovranno aggiungere altri tre anni in cui l'uomo sarà sottoposto alla misura di sicurezza della libertà vigilata, una volta espiata la sua pena.
La vittima ha raccontato di avere ormai paura degli uomini
La vittima, che si è costituita parte civile, non era in aula: a rappresentarla il suo avvocato, Marco Ventura. D'altronde, in un'intervista rilasciata qualche giorno fa, la ragazza oggi 26enne aveva raccontato delle profonde ferite, fisiche ma soprattutto psicologiche, che l'episodio le ha procurato: "Mi spavento se un uomo mi fissa, mi spavento se un uomo viene verso di me, mi spavento se ho la sensazione di avere qualcuno alle spalle. Ho paura degli uomini". Le indagini sullo stupro avevano accertato, attraverso le immagini riprese dalle telecamere di sorveglianza, che Masoud aveva iniziato a seguire la sua vittima fin dalla fermata della metro. Nel tragitto da Cascina Gobba al San Raffaele, in un'area di cantiere, l'uomo l'aveva quindi aggredita: "Credevo che andasse di fretta così mi sono spostata per dire: passa. Ma lui non mi superava e ho cominciato a innervosirmi, ho accelerato il passo. Finché sono arrivata davanti a quel fossato e lui mi ha spinto dentro", ha raccontato la 26enne.
Lo stupratore è stato incastrato dal Dna
Nelle parole della giovane traspare il terrore provato in quei momenti: "Ho pensato alle mie bambine, ho avuto paura che non sarei mai più uscita viva da quel buco. Il suo ginocchio premeva sulla mia schiena. Non potevo fare nulla, soltanto aspettare che finisse". Una volta finita la violenza lo stupratore era scappato, ma le sue tracce genetiche erano rimaste sul luogo del delitto. E sono state proprio quelle a incastrarlo, portandolo al processo e alla condanna.