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Violentata in Pronto soccorso, un infermiere: “Costretti a tenere i pazienti in corridoio, senza controlli”

Dopo il caso avvenuto all’ospedale di Vizzolo Predabissi (Milano), dove la notte del 28 maggio una 20enne ha denunciato una violenza sessuale per poi suicidarsi, è necessaria un’ampia riflessione sulla sicurezza nei Pronto soccorso. Tra mancanza di presidi notturni, carenza di personale e attese infinite, ecco la situazione di questi reparti in Italia.
A cura di Francesca Del Boca
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Prima la denuncia di violenza sessuale tra le corsie del Pronto soccorso intorno alle 4 di martedì 28 maggio, poi il ricovero e il salto nel vuoto dal quarto piano. Si sta cercando di fare luce sul caso avvenuto all'interno dell'ospedale di Vizzolo Predabissi, hinterland di Milano, tra audit interni di ASST e Regione Lombardia e il fascicolo aperto dalla Procura di Lodi: saranno le indagini a stabilire l'esatta dinamica del fatto, che ha visto al centro una giovane di 20 anni, e le eventuali responsabilità dei singoli.

Ma forse, prima, è necessario prestare attenzione anche al contesto in cui questi fatti sono maturati. Come è potuta accadere una cosa del genere? "Purtroppo i problemi in Pronto soccorso si verificano quasi sempre di notte", racconta a Fanpage.it Giovanni Migliaccio, infermiere da anni in servizio nel Pronto soccorso di uno dei più importanti ospedali milanesi.

"Ne ho viste di ogni, e praticamente tutte sono avvenute di notte", spiega. "Il carico di lavoro in realtà è sempre uguale. Nelle ore notturne, però, non c'è la stessa presenza di personale, che già è poco e difficile da reperire: i pochi che ci sono, soprattutto infermieri, scappano via per le condizioni di lavoro che si trovano qui in Italia. Senza contare che ovviamente alcune realtà, come quella milanese, con il buio accolgono persone socialmente pericolose, che hanno abusato di alcol e sostanze stupefacenti o che arrivano dalla strada dopo accoltellamenti, risse".

Ma non solo. "C'è anche un tema che riguarda le liste d'attesa. A notte inoltrata si trova in Pronto soccorso anche chi aspetta una visita ormai da ore, anche dieci o dodici dall'accettazione che magari è avvenuta in tarda mattinata". Che si traduce spesso in impazienza, frustrazione, aggressioni fisiche e verbali nei confronti degli operatori sanitari. E anche nella coesistenza nello stesso spazio di diversi pazienti con diverse esigenze. "Ci sono pazienti non dimissibili che attendono il ricovero per una, due notti e nel frattempo stazionano sulla barella in area d'osservazione. Lì può succedere di tutto, si dorme alla mercé di chiunque. I furti, ad esempio, sono all'ordine del giorno. È un luogo di passaggio".

Nel caso di pazienti psichiatrici, o sotto effetto di sostanze? "Cerchiamo di tutelarli il più possibile, compatibilmente con quello che è il carico di lavoro e la struttura organizzativa: di notte e nel fine settimana, soprattutto, capitano quattro, cinque, sei o più persone in queste condizioni e magari le stanze sono già occupate. Così siamo spesso costretti a metterli in corridoio, con tutti i rischi che questo comporta".

Il problema, in realtà, è a monte. "Il Pronto soccorso dovrebbe occuparsi unicamente della gestione delle emergenze, sgravandosi di quello che urgente non è". In questo modo, invece, la sala d'attesa diventa il rifugio soprattutto di chi non trova una risposta nella sanità territoriale. Intasando i letti e oberando di lavoro il personale medico e infermieristico. "È venuto meno il filtro locale. Il 70 per cento di quelli che vengono è composto da persone che non sono riuscite a prendere appuntamento con il medico di base".

E intanto chi controlla cosa succede, dal momento che non sarebbe certo compito di medici e infermieri -già impegnatissimi nella presa in carico e nella gestione clinica di chi arriva in Pronto soccorso-? "Di fatto nessuno. Ci sono dei vigilanti, pochi, che l'ospedale può mettere a disposizione, ma non sono certo addetti alla pubblica sicurezza. Sono messi lì per la sicurezza aziendale e per tutelare l'ambiente da intrusioni esterne, ma non fungono da agenti di polizia davanti alle aggressioni o ai casi più problematici". Che così difficilmente si riescono a prevenire, rendendo necessaria la chiamata alle forze dell'ordine con il pulsante obbligatorio per legge. "Il problema è che spesso non funziona. Senza contare che, una volta attivata la polizia, gli agenti a volte intervengono anche dopo 45 minuti. Un tempo c'era direttamente il presidio di polizia all'interno del Pronto soccorso ma ormai, in un'ottica di costante diminuzione del personale, sono stati smantellati. Sarebbero necessari, ma li prevede solo qualche ospedale in Italia. E sicuramente non a Milano, dove da nessuna parte è garantito un presidio notturno".

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