Vimercate, picchia e violenta la compagna, giudici gli riducono la pena: “Lei era troppo disinvolta”
Pena ridotta da cinque anni a quattro anni e quattro mesi per un uomo di 63 anni nel giugno dello scorso anno a Vimercate ha picchiato e violentato la sua compagna per un'intera notte dopo averla di fatto sequestrata nella sua roulotte. Questo perché, secondo i giudici della Corte d'Appello di Milano le azioni dell'uomo sarebbero nate in un "contesto familiare degradato" e "caratterizzato da anomalie quali le relazioni della donna con altri uomini": inoltre quest'ultimo in carcere negli ultimi mesi avrebbe dimostrato di avere un atteggiamento piuttosto "mite", secondo quanto riportato da Corsera, e che di conseguenza l'intensità del dolo sia in realtà attenuata dal fatto che l'uomo fosse stato "esasperato dalla condotta troppo disinvolta della donna".
La notte del sequestro: prima le botte e poi la violenza
Una motivazione che pone dunque l'accento sul comportamento della compagna e vittima dell'aggressione del 63enne che sarebbe stata in parte causa, secondo i giudici che hanno ridotto la pena inflitta con rito abbreviato, di quanto accaduto nella notte tra il 7 e l'8 giugno. Il 63enne quella notte, dopo aver insultato e inveito contro la compagna 43enne accusandola di diversi tradimenti, l'ha minacciata di morte, le ha puntato un coltello al viso e le ha strappato di mano il telefono così da impedirle di chiedere aiuto: infine l'ha percossa con un tavolino di legno e ha iniziato a picchiarla a mani nude. Pugni e schiaffi al viso violentissimi mentre lei lo ha implorato di fermarsi: una escalation di violenza culminata con colpi violenti alla schiena che hanno tramortito la donna poi trascinata per i capelli e gettata sul letto. "Da qui non esci viva", le parole esclamate dal 63enne che l'ha poi violentata.
L'uomo esasperato dalla condotta disinvolta della donna
Da qui la condanna a cinque anni poi ridotta poiché ritenuta eccessiva dai giudici di Milano che hanno sottolineato il contesto nel quale sono avvenuti i reati e che "era caratterizzato da anomalie quali le relazioni della donna con altri uomini, dall’imputato quasi favorite o comunque non ostacolate" finché lei "rimase incinta di un altro soggetto". L'imputato, si legge, è "soggetto mite e forse esasperato dalla condotta troppo disinvolta della convivente, che aveva passivamente subìto sino a quel momento". Il che, "se certo non attenua la responsabilità", per i giudici "è tuttavia indice di una più scarsa intensità del dolo, e della condizione di degrado in cui viveva la coppia".