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Uscito “Quartiere Pop”, album di esordio di Emanuele Patti: “Milano si è adattata alla mia San Siro”

Dal quartiere per il quartiere, ma anche per se stesso. Il cantautore milanese Emanuele Patti esce oggi con il suo album di esordio “Quartiere Pop” raccontando la vita di chi abita la zona di San Siro, a Milano, da sempre in una chiave più poetica, “cercando di elevarlo per valorizzarlo. Solo così ho potuto valorizzare me stesso”, racconta a Fanpage.it.
A cura di Filippo M. Capra
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Dopo due anni di lavorazione, tra ritardi e ripensamenti, riarrangiamenti e un nuovo team di lavoro, esce oggi Quartiere Pop, l'album di esordio di Emanuele Patti. Il cantautore milanese classe '84 offre un excursus della vita nel quartiere, tra Quarto Cagnino, San Siro e Baggio, senza ridurlo ad un ammasso di persone che trovano mille modi per fare il soldo facile ma ritagliando ampio spazio ai suoi cambiamenti e alle persone che lo abitano in totale normalità. Fanpage.it lo ha intervistato per capire come, allora, un quartiere possa mutare anche la vita di chi lo osserva crescere per oltre 30 anni.

Perché "Quartiere Pop"?

Perché il quartiere in cui vivo è un quartiere popolare, ma il termine pop in qualche modo lo eleva, dando colore alle sue storie variegate. Solitamente le zone periferiche come la nostra vengono dipinte come aree depresse, ma è qui che trovi l'ispirazione di raccontare. Non di certo passeggiando in Montenapoleone.

Nel singolo che dà il titolo all'album di cosa parla? 

Ero arrivato a un bivio: a 30 anni mi sono accorto che continuavo a vivere sempre le stesse cose ma non riuscivo a leggerle nella chiave giusta. Mi sentivo come intrappolato senza riuscire ad emergere. Allora ho cambiato punto di vista, guardando alla mia realtà e al mio quartiere come un dipinto già disegnato che però poteva essere raccontato. Valorizzandolo mi sono valorizzato.

Come descriverebbe il suo quartiere? 

Avanti. Col tempo è cambiato molto, ma è rimasto fedele alle sue ritmiche. Forse, sotto certi punti di vista, è il resto della città che in qualche modo si è adeguata, accogliendo i difetti di una realtà periferica che, però, possono diventare punti di forza.

E poi c'è quella "Ragazza di Baggio con i leggins con i teschi colorati" che sembra appartenere ad una realtà ferma a 20 anni fa. 

Il senso della canzone è proprio quello. Avendo vissuto 30 anni qui in zona, ho visto le varie epoche susseguirsi con le relative tendenze. Il brano è una dedica a tutte quelle donne che come mia madre sono sempre state vere. Non gliene fregava nulla dell'abito perfettino, erano grezze e dirette. Ti sbattevano in faccia una realtà che strideva con quella che si aveva in testa. Le ragazze di Baggio erano schiette, dure: tu gli portavi un fiorellino e loro ti ridevano in faccia. Tutta un'altra cosa rispetto a ora.

Tanto che c'era un termine, Baggese, per descrivere un determinato modo di fare. 

Esatto, la ragazza di Baggio è quella caratterizzazione lì. È quella che va in giro con l'ombelico di fuori e se ne sbatte i coglioni se ha qualche chilo di troppo. È una ragazza vera.

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