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Un collega delle psicologhe indagate per il caso di Alessia Pifferi: “Nessuno l’ha manipolata”

Uno psicologo del carcere di San Vittore ha difeso l’operato delle due colleghe indagate per il caso di Alessia Pifferi. Ha inoltre annunciato che sarà inviata una lettera alla procuratrice generale della Corte d’Appello di Milano Francesca Nanni e alla presidente del tribunale di Sorveglianza Giovanna di Rosa.
A cura di Ilaria Quattrone
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"Quel test alla Pifferi? Fu una decisione dell'équipe: i colloqui facevano pensare a una fragilità psichica": è quanto ha raccontato al quotidiano La Repubblica uno psicologo e psicoterapeuta che lavora nel carcere San Vittore a Milano. L'uomo è un collega delle due dottoresse accusate di falso e favoreggiamento per il caso di Alessia Pifferi, accusata della morte della figlia Diana.

La lettera alla procuratrice Nanni e alla presidente di Rosa

"Le mie colleghe sono sconvolte. Ma tutti abbiamo solo fatto il nostro lavoro, non abbiamo manipolato nessuno", ha precisato. Ha inoltre sottolineato che sarà inviata una lettera alla procuratrice generale della Corte d'Appello di Milano Francesca Nanni e alla presidente del tribunale di Sorveglianza Giovanna di Rosa: "La modalità delle perquisizioni ha avuto come risultato l’intimidazione di tutti gli operatori e rischia di intaccare la fiducia nel loro operato da parte delle persone detenute e dell’opinione pubblica. Ci rendiamo disponibili a un’interlocuzione".

Il test di Wais

Il professionista ha affermato che gli esiti del test di Wais, che avrebbero accertato come il quoziente intellettivo di Pifferi fosse pari a quaranta, siano stati trasmessi immediatamente al pubblico ministero: "Da quello che mi hanno riferito le colleghe, è stato applicato seguendo le prassi corrette".

"Non esiste alcuna indicazione che vieti agli psicologi della sanità di applicare un test per delineare un’ipotesi diagnostica. E la diagnosi rientra nei protocolli di prevenzione dei gesti autolesivi. Il test lo abbiamo condiviso tutti insieme", ha inoltre detto.

Lo psicologo ha posto l'accento su uno dei dubbi che ruota attorno alle accuse rivolte alle colleghe: "Durante i test non è mai accaduto nulla che potesse far pensare a un influenzamento della paziente. Ma perché poi avremmo dovuto farlo? Il nostro dovere è tener conto della situazione psicologica della persona".

Ha inoltre dichiarato come sia terribile "che qualcuno possa immaginare che noi manomettiamo o costruiamo colloqui per indurre la paziente a rispondere in un modo o nell'altro". Ha poi concluso: "Adesso ho paura, faccio attenzione a quello che scrivo, temo che possa essere male interpretato o venga insinuata una manipolazione".

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