Uccide il marito davanti al figlio 15enne, la Procura chiede 24 anni di carcere per Raffaella Ragnoli
La sostituto procuratore di Brescia, Flavio Mastrototaro, ha chiesto una condanna a 24 anni di carcere per Raffaella Ragnoli. La 58enne è accusata dell'omicidio di suo marito, Romano Fagoni, avvenuto la sera del 28 gennaio 2023 nella loro abitazione di Nuvolento davanti al loro figlio di 15 anni al culmine di una lite. Durante il processo, la donna ha dichiarato di aver agito perché temeva per la vita del ragazzo, ma per la Procura non ci sarebbero le condizioni per la legittima difesa.
L'omicidio di Romano Fagoni
Fagoni aveva problemi di alcol, aveva perso il lavoro e qualche settimana prima era stato in ospedale dopo un infarto. Una situazione che, aggiunta alla gestione della suocera inferma, secondo la perizia psichiatrica disposta dal Tribunale su Ragnoli avrebbe portato la 58enne a essere "sottoposta a forte stress". Il perito ha riscontrato nella donna "una complessiva fragilità, ma non un'oggettiva infermità".
Come ha raccontato la stessa Ragnoli durante il processo, Fagoni il 28 gennaio 2023 era rientrato in casa il tardo pomeriggio dopo aver bevuto. "Ha iniziato a urlare, imprecare perché non trovava il telefono", ha spiegato la 58enne. Dopodiché sarebbe nata una discussione tra il 60enne e il figlio 15enne, con Fagoni che avrebbe puntato un coltello contro il ragazzo. A quel punto, come testimoniato anche dagli audio che Ragnoli era riuscita a registrare, la 58enne avrebbe sfiato il marito: "Dove hai detto che glielo conficchi quel coltello? Provaci, dai! Provaci!", dopodiché avrebbe accoltellato il marito 33 volte.
La pena richiesta dalla Procura
Secondo il pm Mastrototaro, quello che è andato in scena quella sera sarebbe stato un omicidio volontario. Fagoni, sostiene l'accusa, non avrebbe mai messo in pericolo la vita né della moglie né del figlio e per questo motivo non si può parlare di legittima difesa.
La richiesta della Procura è di 24 anni di reclusione, e non l'ergastolo, in quanto andrebbero riconosciute all'imputata le attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti contestate, come appunto la situazione di stress che stava vivendo e la collaborazione alle indagini.