Uccide di botte il figlio di 2 anni: la Corte d’appello dovrà rivalutare la pena dell’ergastolo
Un "sistematico pestaggio, nonostante le condizioni di fragilità e minorata difesa del piccolo". E ancora "sofferenze corporali" inflitte con "grave e prolungato patimento fisico e morale" attraverso "bruciature, morsi, calci, schiaffi, pugni". È il quadro delle "brutali violenze" descritto dalla Cassazione per il caso di Alija Hrustic, il 28enne accusato di aver massacrato e ucciso di botte il proprio bambino di 2 anni nel maggio del 2019, a Milano. La Suprema Corte, per questo motivo, ha stabilito che servirà un nuovo processo d'appello per rivalutare le accuse a carico dell'imputato: per i giudici, il verdetto sarebbe "viziato da violazione di legge penale e da manifesta illogicità della motivazione".
La precedente sentenza d'Appello, infatti, aveva escluso il reato di tortura e rielaborato quello di omicidio volontario in maltrattamenti pluriaggravati culminati nella morte, cancellando così la pena all'ergastolo stabilita in primo grado e riducendola a 28 anni di reclusione.
Il reato di tortura nei confronti del figlio di 2 anni
Oggi, il ribaltone della sentenza: con la richiesta da parte della Corte di rivalutare le accuse di tortura e omicidio volontario, le cose potrebbero tornare come prima. E così i giudici dell'Appello bis, secondo quanto stabilito dalla Cassazione, dovranno verificare se "vi è configurabilità dei maltrattamenti per la prima parte della condotta ai danni del piccolo, attuata a partire dal mese di marzo 2019″. Inoltre, dovranno anche vagliare se sia ravvisabile il "delitto di tortura" per le violenze che vanno da "due a quattro giorni prima della morte e fino al 22 maggio del 2019".
Infine, nel nuovo processo, si dovrà stabilire se si possa configurare anche l'accusa di omicidio volontario pluriaggravato o se questa contestazione debba essere assorbita in quella di "tortura seguita da morte", comunque punita con l'ergastolo.
Il padre omicida e le vessazioni in famiglia
"L'ho ucciso in preda alla rabbia, non riuscivo a dormire", aveva confessato Alija Hrustic, rintracciato e arrestato poche ore dopo l'omicidio: aveva tentato di darsi alla fuga, scappando dall'appartamento di San Siro (occupato abusivamente) in cui era avvenuto il pestaggio letale. L'ennesimo. "Lo ingiuriava ripetutamente con l'epiteto di scemo, lo percuoteva senza alcun motivo e lo colpiva con calci e pugni, lo morsicava e gli provocava bruciature di sigarette su diverse parti del corpo", le parole degli inquirenti al tempo. "Pochi giorni prima del decesso, con un accendino ha provocato al figlio vastissime ustioni sulle piante dei piedi".
Vessazioni continue anche nei confronti della moglie 23enne. "La colpiva con schiaffi, pugni e calci, a volte utilizzando una cintura, in altre occasioni servendosi del bastone di una scopa o di grossi fili elettrici", scrivevano sempre gli inquirenti nell'avviso di conclusione delle indagini. "Dal mese di aprile 2019 minacciava di uccidere lei e la sua intera famiglia, se si fosse allontanata da casa o lo avesse denunciato".