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Trovato un ecosistema preistorico fossile in Valtellina: tracce di vita di 280 milioni di anni fa

Nel Parco delle Orobie Valtellinesi in provincia di Sondrio l’escursionista Claudia Steffensen e il fotografo naturalista Elio Della Ferrera hanno scoperto un ecosistema preistorico fossile di 280 milioni di anni fa.
A cura di Giorgia Venturini
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Foto di repertorio
Foto di repertorio

Tracce di vita che risalgono a 280 milioni di anni fa. É quanto hanno scoperto per caso nel Parco delle Orobie Valtellinesi in provincia di Sondrio l'escursionista Claudia Steffensen di Lovero (Sondrio) e documentato dal fotografo naturalista Elio Della Ferrera: un vero e proprio ecosistema preistorico fossile, fatto di orme di anfibi e rettili, ma anche piante, semi, impronte di pelle e persino gocce di pioggia.

Il sito preistorico è tornato in superficie a causa dello scioglimento di neve e ghiaccio causato dal cambiamento climatico. Dopo l'allarme lanciato dall'escursionista i primi reperti sono stati recuperati pochi giorni fa a 3mila metri di quota attivando un elicottero. I resti si trovano ora al Museo di Storia Naturale di Milano e sono stati studiati dal paleontologo Cristiano Dal Sasso del Museo di Storia Naturale di Milano insieme al geologo Ausonio Ronchi dell'Università di Pavia e dall'icnologo Lorenzo Marchetti del Museo di Storia Naturale di Berlino.

Dalle prima analisi gli esperti hanno riconosciuto orme di tetrapodi (rettili e anfibi) e invertebrati (insetti, artropodi), spesso ancora allineate a formare ‘piste', ovvero camminate che avvennero nel Permiano, l'ultimo periodo dell'Era Paleozoica. Si trattano di orme di almeno cinque diverse specie.

Il paleontologo Cristiano Dal Sasso ha precisato: "A quell'epoca i dinosauri non esistevano ancora, ma gli autori delle orme più grandi qui ritrovate dovevano avere dimensioni comunque ragguardevoli: fino a 2-3 metri di lunghezza". Il geologo Ausonio Ronchi ha aggiunto: "Le impronte sono state impresse quando queste arenarie e argilliti erano ancora sabbie e fanghi intrisi di acqua, ai margini di fiumi e laghi che periodicamente, secondo le stagioni, si prosciugavano. Il sole estivo, seccando quelle superfici, le indurì al punto tale che il ritorno di nuova acqua non cancellava le orme ma, anzi, le ricopriva di nuova argilla formando uno strato protettivo".

L'icnologo Lorenzo Marchetti del Museo di Storia Naturale di Berlino ha spiegato invece come è stata possibile questa lunga conservazione: "La grana finissima dei sedimenti, ora pietrificati, ha permesso la conservazione di dettagli talvolta impressionanti, come le impronte dei polpastrelli e della pelle del ventre di alcuni animali". E infine ha aggiunto: "Forma e dimensioni delle tracce indicano una qualità di preservazione e una paleo-biodiversità notevole, probabilmente anche superiore a quella osservata in altri giacimenti della medesima età geologica nel settore orobico e bresciano".

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