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backstair / Shalom, la comunità degli orrori

“Suor Rosalina mi convinceva ad andare contro mio figlio”: il racconto del papà di un ospite della Shalom

A Fanpage.it, il padre di un ex ospite della comunità Shalom racconta cosa ha vissuto mentre il figlio viveva in comunità: “Ho letto che Suor Rosalina, dopo la messa in onda della seconda puntata della vostra inchiesta, ha detto che le violenze subite dal ragazzo di colore e dall’altro giovane sarebbero state frutto di uno scherzo. Le foto dei lividi di mio figlio, però, non erano uno scherzo: sono una prova. Posso assicurare che mio figlio è stato vittima di violenze”.
A cura di Ilaria Quattrone
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Suor Rosalina Ravasio, a capo della comunità Shalom di Palazzolo sull'Oglio (Brescia)
Suor Rosalina Ravasio, a capo della comunità Shalom di Palazzolo sull'Oglio (Brescia)
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Dopo la pubblicazione dell'inchiesta sulla comunità Shalom di Palazzolo sull'Oglio (Brescia), diversi ex ospiti hanno deciso di condividere le loro storie con la redazione di Fanpage.it. Tutti hanno raccontato di aver subito violenze fisiche e psicologiche. A queste testimonianze, se ne sono aggiunte di nuove. E, tra di loro, ci sono tanti genitori.

A Fanpage.it, il padre di un ex ospite ha descritto le modalità in cui avvenivano le comunicazioni tra Suor Rosalina Ravasio, responsabile della comunità, e le famiglie e ha raccontato come ha scoperto le violenze subite dal figlio.

L'ingresso in comunità Shalom

"È stato un conoscente a indicarmi la comunità Shalom come struttura in grado di poter accogliere mio figlio. Sono stato io a contattare la struttura. Prima di farlo entrare in comunità, abbiamo affrontato alcuni colloqui. La prima volta che abbiamo visitato quel posto, ci sembrava un'oasi. Sembrava un luogo tranquillo dove mio figlio avrebbe potuto trovare ristoro e affrontare il proprio percorso terapeutico".

Gli episodi dell’inchiesta
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"Sapevamo, inoltre, che si trattava di una struttura religiosa. E questo ci ha convinto ancora di più della possibilità che quello potesse essere il luogo adatto per aiutare mio figlio ad affrontare e risolvere il suo problema di dipendenza. Ha fatto alcuni esami clinici, come quello per le urine, abbiamo allegato i documenti necessari e poco dopo ha fatto il suo ingresso in comunità".

Le lettere

Il ragazzo ha vissuto in quella struttura per pochi mesi: "Ho chiesto ai referenti della comunità che mi venisse lasciato un loro numero di telefono: c'era stato spiegato che per sei mesi non avremmo potuto né vedere né sentire mio figlio. Con cadenza settimanale, quindi, chiamavo in comunità. Ricevevo notizie da un collaboratore della Suora. Poco tempo dopo il suo ingresso, ho ricevuto una telefonata in cui mi è stato spiegato che mio figlio voleva andare via, voleva scappare. Mi è stato detto che avrei dovuto fargli capire, attraverso una lettera, che non poteva tornare a casa".

"Sono stato contatto dai collaboratori della Suora che mi davano istruzioni su come avrei dovuto scrivere questa lettera. Mi dicevano che avrei dovuto prendere le distanze da mio figlio. Ho inviato uno scritto per e-mail alla comunità. Mi hanno chiamato subito e mi hanno detto che la lettera così come era, era debole. Per loro avrei dovuto utilizzare parole più pesanti. Ho dovuto rielaborarla, per due-tre volte. Dopo quei tentativi, non sono stato più ricontattato".

I tentativi di fuga

Il ragazzo, però, ha continuato a chiedere di andar via dalla comunità Shalom: "Un po' di tempo dopo mi hanno ricontattato i collaboratori di Suor Rosalina – racconta ancora il padre a Fanpage.it -. Mi hanno spiegato che mio figlio si era procurato alcuni tagli. Mi hanno detto che sarei dovuto andare in comunità, ma una volta lì e nonostante le mie richieste di poter vedere come stava, non mi hanno permesso di incontrarlo".

"Pochissimo tempo dopo ha cercato di scappare di nuovo. Siamo stati di nuovo ricontattati dalla struttura. Sono tornato nuovamente in comunità. E, anche in quell'occasione, mi hanno spiegato che l'incontro sarebbe dovuto avvenire secondo le loro istruzioni. Avrei dovuto dire a mio figlio, in modo categorico, che non sarebbe potuto tornare da casa. Non volevo seguire quelle istruzioni, ma mi ero convinto che quelle persone sapessero come ci si doveva comportare con chi aveva problemi come quelli di mio figlio. Pensavo fosse una struttura di esperti che avevano a che fare, ogni giorno, con problemi simili ai suoi. Mi dicevo che loro sapevano cosa fare e mi affidavo totalmente a loro".

In questo contesto, il padre del ragazzo ha seguito alla lettera le loro indicazioni: "Mi hanno detto che quando avrei incontrato mio figlio, nel momento in cui lui mi sarebbe venuto incontro, avrei dovuto dargli uno schiaffo. Non era previsto alcun rapporto d'amore, ma solo di distacco. In quel momento ho pensato che per il bene di mio figlio avrei dovuto ascoltare quelle assurde richieste. Lì c'è stato il primo campanello d'allarme: appena ho visto mio figlio, lui mi ha subito detto che quel posto non era come credevo, che lui non stava bene e che c'erano violenze. Non gli ho dato ascolto, purtroppo".

Il ricovero in ospedale

Il giovane però poco dopo è riuscito ad allontanarsi dalla comunità: "È successo che ha simulato una specie di psicosi, ha rotto un vetro e siamo stati nuovamente chiamati. Sono andato nuovamente lì insieme a mia moglie. Avrei dovuto decidere se chiamare o meno il 118. Prima di farlo e di incontrare io figlio, mi hanno portato in una stanza e mi hanno raccontato che mio figlio non si comportava bene, che rompeva vetri davanti ai ragazzi. Per loro, era diventata una situazione intollerabile. Poco dopo mi hanno fatto incontrare mio figlio: lui mi ha detto, ad alta voce, che lo avevano picchiato. Io e mia moglie eravamo confusi: da una parte c'era quello che ci raccontava la suora, dall'altra c'erano le parole di mio figlio. Alla fine ho deciso di far chiamare il 118″.

I medici e i paramedici lo hanno portato in pronto soccorso: "Nel frattempo, la Suora ci ha detto che non saremmo dovuto andare in ospedale. Pensavo che lo dicesse perché sarebbe intervenuta la comunità, ma non è stato così. Ho chiamato il pronto soccorso: il medico mi ha raccontato che mio figlio era lucido, ma che era pieno di lividi e che era stato vittima di maltrattamenti. In quel momento ho preso coscienza di quanto aveva subito".

I lividi e la denuncia

"Considerati i lividi, l'ospedale aveva comunicato quanto rilevato sul corpo di mio figlio all'autorità giudiziaria. Il giorno successivo sono stato contattato da Suor Rosalina che era molto arrabbiata. Pretendeva che io convincessi mio figlio a ritirare la denuncia. Richiesta che però non ho assolutamente accontentato. Il giorno successivo a quella telefonata, ho ricevuto un'altra chiamata. Era sempre Suor Rosalina. Era molto arrabbiata e dopo qualche minuto mi ha passato un suo collaboratore. Anche lui mi ha chiesto di ritirare la denuncia. Nessuno di loro, né la Suora né il collaboratore, hanno chiesto quali fossero le condizioni di mio figlio. Non gli interessava".

"Io gli ho però risposto: avete visto i lividi che ha? Dopo questa domanda, la conversazione si è interrotta e da quel momento in poi non li ho più sentiti. Nel frattempo mio figlio è stato trasferito, su richiesta del personale medico, in un altro ospedale. È stato ricoverato in un reparto di Psichiatria. Quando sono arrivato lì, ho portato mio figlio in una stanza, gli ho chiesto di spogliarsi e ho visto che aveva il corpo pieno di lividi e aveva un occhio con una lesione. Ho deciso di fotografare tutto. E, subito dopo, mio figlio ha sporto denuncia dai carabinieri".

Il ragazzo, dopo essere stato dimesso dall'ospedale, non è più rientrato nella comunità Shalom: "Mio figlio mi ha raccontato di essere stato portato in un laboratorio, di essere stato lasciato in mutande e a piedi scalzi, di essere stato costretto a rimanere sveglio per tutta la notte. Mi ha raccontato di essere stato vessato continuamente, di essere stato minacciato. Gli hanno detto che sarebbe stato fatto a pezzi con una motosega, che nessuno lo avrebbe mai cercato e trovato, lo tenevano rinchiuso. È abominevole. Mi ha raccontato di essere stato colpito con un bastone, di aver ricevuto calci, pugni e sputi. Quando è rientrato in casa, per mesi e mesi, aveva incubi. Si svegliava in continuazione, è stato fortemente traumatizzato".

"Ho letto che Suor Rosalina, dopo la messa in onda della seconda puntata della vostra inchiesta, ha detto che le violenze subite dal ragazzo di colore e dall'altro giovane sarebbero state frutto di uno scherzo. Le foto dei lividi di mio figlio, però, non erano uno scherzo: sono una prova. Posso assicurare che mio figlio è stato vittima di violenze".

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