Strage di piazza Fontana, chi erano le 17 vittime innocenti dilaniate dalla bomba
Milano, 12 dicembre 1969: sono le 16.30. Il salone della Banca nazionale dell'Agricoltura di piazza Fontana è gremito, come spesso accade di venerdì quando si tiene il cosiddetto mercato degli agricoltori. Si contano decine e decine di persone in quel momento in banca, qualcuno dirà 150, intente a chiudere le contrattazioni del venerdì. Un vociare continuo e quasi rassicurante che ti dice che la vita procede. All'improvviso però accade qualcosa, qualcosa che cambierà per sempre la città di Milano e la storia dell'Italia. Un boato mette a tacere tutti, nessun vociare, nessuna discussione: alle 16.37 del 12 dicembre una bomba ad alto potenziale esplode all'interno della banca lasciando nel pavimento un buco di circa un metro di diametro. Un chilo e mezzo di esplosivo nascosto in una borsa di pelle uccide in pochi secondi 13 persone (altre quattro moriranno in seguito) e ne ferisce 88. Una strage. Passerà alla storia proprio così, come la strage di piazza Fontana.
Molte delle vittime sono irriconoscibili
A Fortunato Zinni, dipendente della banca, che dopo l'esplosione viene sbalzato a diversi metri di distanza, viene assegnato l'ingrato compito di riconoscere alcune delle vittime, o ciò che ne resta: "Tu, li conosci tutti, almeno di vista, li vedi qui ogni venerdì", gli dicono. Intorno ai superstiti c'è solo morte e disperazione. Polizia, carabinieri, soccorritori: è un via vai di persone nel salone centrale della banca ormai ridotto a uno scenario post bellico. In poco tempo iniziano a giungere le chiamate ai famigliari delle vittime alcune delle quali necessitano ancora di essere identificate. Molte saranno identificate all'obitorio da figli appena adolescenti costretti a guardare i corpi sventrati dei propri padri. Figli, mogli, mamme accorrono in quel luogo di morte con la speranza di poter riabbracciare i propri cari. Ma non per tutti vi è un lieto fine. Quella bomba ha ucciso 17 persone, 17 uomini, 17 innocenti, 17 lavoratori: sono il commerciante Giovanni Arnoldi, 42 anni, Giulio China, noto operatore agricolo di 57 anni, Pietro Dendena, commerciante di bestiame di 45 anni, Eugenio Corsini, rappresentante di lubrificante per macchinari agricoli, Carlo Gaiani, perito agrario di 57 anni, Calogero Galatioto di 77 anni, i pensionati Carlo Garavaglia e Paolo Gerli, Luigi Meloni, commerciante di 57 anni, Vittorio Mocchi, Gerolamo Papetti, agricoltore di Rho, aveva 78 anni, Mario Pasi, geometra di 50 anni, l'assicuratore Luigi Perego, di 74 anni, Oreste Sangalli, 49 anni, Angelo Scaglia 61, Carlo Silva, 71 anni, Attilio Valè, 52 anni.
I funerali: Milano piange in silenzio
Arriva il 15 dicembre: è il giorno dei funerali. In un silenzio surreale piazza Duomo accoglie l'arrivo dei feretri delle 17 vittime di piazza Fontana. Ci sono anche i rappresentanti delle istituzioni, che arrivano, anche se in ritardo. Qualcuno dice che sono 300mila le persone che riempiono il grande vuoto della piazza: nessun vociare, nessun grido di dolore, solo lacrime e sgomento dinanzi a quei morti innocenti, per i quali nessuno ha risposta. Cosa è successo? Chi li ha uccisi? Mentre iniziano le lunghe e faticose indagini, sulla città cala una coltre di paura, paura che accompagnerà gli anni più intensi della storia di Milano. Sono gli anni della cosiddetta strategia della tensione, gli anni di piombo e del terrorismo rosso e nero. La parole strage si ripeterà ancora e ancora, e purtroppo non solo a Milano, fino a un epilogo giunto dopo anni e lunghe indagini e depistaggi che riconosce nel gruppo neofascista Ordine Nuovo la responsabilità dell'attentato e dunque della morte di 17 persone innocenti.
Le vittime di piazza Fontana: un venerdì come tanti
Ma chi sono le vittime di questa strage? Per anni rimarranno solo un numero. Ma dietro a quel numero c'erano e ci sono uomini comuni, lavoratori che, chi per caso, chi per abitudine, si trovavano in piazza Fontana quando il 12 dicembre 1969 decisero di far saltare quel chilo e mezzo di esplosivo. Ce lo raccontano gli archivi e le testimonianze dei famigliari: il pensionato Carlo Garavaglia ad esempio, vedovo e con una figlia sposata si recava spesso al mercato di piazza Fontana per combinare qualche piccolo affare come mediatore. Gerolamo Papetti invece era considerato un abituale frequentatore di piazza Fontana: era con il figlio Giocondo quando è stato colpito dall’esplosione. Mario Pasi svolgeva la professione di amministratore di stabili e fondi e in banca vi era per puro caso. Giulio China era fra i più quotati operatori agricoli della provincia di Milano e svolgeva l’attività di sovrintendente della cascina Amoroso, nelle campagne della Bicocca. Eugenio Corsini era anch'egli un frequentatore assiduo del mercato del venerdì. Carlo Gaiani invece si trovava in banca per incontrare un acquirente. Era sposato ed aveva un figlio. Luigi Perego gestiva un'agenzia di assicurazioni, specializzata nella stipulazione di polizze a favore di coltivatori: si recava in banca il venerdì perché di avere l'occasione di incontrare un considerevole numero di potenziali clienti.
Pietro Dendena si dedicava al commercio dei bovini e al mercato settimanale di piazza Fontana non mancava mai. Era sposato e aveva due figli. Oreste Sangalli si occupava della gestione dell’Azienda agricola Ronchetto, dalle parti di Corsico di cui in particolare curava la compravendita del bestiame. Era amico di Luigi Meloni, anch’egli vittima della strage, con cui si incontrava nella Banca dell’agricoltura. Carlo Silva, ex rappresentante di commercio, si occupava della vendita di lubrificanti per macchine agricole e in banca ci andava per incontrare i clienti. Viveva con la moglie ed aveva due figli. Paolo Gerli gestiva un'azienda agricola di San Donato Milanese, era ormai in pensione ma la sua era una vera e propria passione e per questo continuava a frequentare il mercato del venerdì. Calogero Galatioto, Angelo Scaglia e Vittorio Mocchi moriranno nei giorni seguenti alla strage, per le ferite riportate.
Non abbiamo mai cercato vendetta ma giustizia
Diciassette vittime innocenti i cui familiari ancora oggi portano avanti i valori della memoria e del rispetto: "Noi non abbiamo mai cercato vendetta – ha spiegato Paolo Silva, vice presidente dell'Associazione dei familiari delle vittime – abbiamo sempre combattuto per la verità. Eppure io lo ricordo bene quel giorno, quando sono stato costretto a riconoscere ciò che restava del corpo di mio padre nascosto sotto un lenzuolo a chiazze rosse". Ed è la verità che ancora oggi vogliono portare come baluardo ai giovani ai quali grazie a incontri sempre più frequenti raccontano quanto accaduto quel pomeriggio di ormai oltre 50 anni fa: "Noi non smettiamo di incontrare i giovani nelle scuole e nelle università, sono i più interessati a questa storia, vogliono capire cosa è stata quella stagione", spiega Carlo Arnoldi, presidente dell'Associazione che aveva solo 15 anni quando suo padre Giovanni morì nella strage. La memoria è l'unico modo per non dimenticare quanto accaduto e tenere vivo il ricordo di chi ha perso la vita in quell'indelebile 12 dicembre del 1969.