Speranza firmò per la zona rossa a Nembro e Alzano ma Conte no, l’ex premier: “Mai vista la bozza del decreto”
Nel 2020 l'allora ministro della Salute Roberto Speranza aveva firmato un Dpcm che disponeva la chiusura della zona rossa ad Alzano e Nembro, i due paesi delle Bergamasca dove i casi Covid già a inizio febbraio erano in forte crescita. Speranza aveva firmato il documento il 5 marzo, ma i due Comuni entrarono in zona rossa con il resto d'Italia non prima dell'8 marzo. Questo perché – secondo quanto ribadito nell'inchiesta appena chiusa dalla Procura di Bergamo – l'allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte non controfirmò il Dpcm. Ora i due ex membri del governo sono tra i 19 indagati della Procura di Bergamo che negli ultimi tre anni ha fatto accertamenti sulla mancata zona rossa nei paesi della Val Seriana.
La difesa di Conte sul Dpcm di Speranza
Davanti agli inquirenti, che il 12 giugno del 2020 interrogarono Conte, l'ex premier ha più volte ribadito che "il documento firmato non è mai stato nelle mie mani". E ha aggiunto che "se il 5 marzo 2020 la bozza fosse già stata sottoscritta dal ministro Speranza, mi è stato riferito successivamente, credo dai miei collaboratori". La versione fornita da Speranza invece a La Stampa è che la firma non arrivò perché il Comitato tecnico scientifico aveva deciso nel giro di pochi giorni per un lockdown generale.
A conclusione indagini però quella mancata firma fa la differenza: Conte oltre all'accusa di mancata attuazione del piano pandemico, davanti ai magistrati dovrà difendersi anche dall'accusa di epidemia colposa. Questo secondo reato – come riporta anche Il Fatto Quotidiano – non rientra nei capi di imputazione di Speranza proprio perché il suo nome e cognome è presente nel Dpcm che non venne mai però attuato.
Dopo il 28 febbraio la pandemia era fuori controllo
Gli inquirenti per far luce su quanto accaduto nei giorni che vanno da fine febbraio al giorno del lockdown generale si sono serviti anche della consulenza del microbiologo Andrea Crisanti. Questo nella perizia consegnata alla Procura ha precisato che il giorno di non ritorno dell'Italia era il 28 febbraio: già dal giorno successivo il Paese non era più in grado di contrastare la pandemia Covid perché "invece che alle zone rosse, come quella da applicare in Val Seriana, il Comitato tecnico scientifico si affidò a misure proporzionali per combattere un virus che si propagava esponenzialmente".