Spaccio sull’asse Italia-Hong Kong, le parole in codice per la droga: “Menù di carne o vegetariano?”
I carabinieri di Milano hanno fermato una banda dedita allo spaccio di stupefacenti. Il sodalizio criminale comprendeva membri provenienti dalla Cina, dal Marocco, dall’Albania e dall’Italia, con persone dalla Calabria alla Liguria, passando per la Campania, il Piemonte, la Lombardia e la Puglia. La parola in codice principale per indicare le diverse partite di droga che utilizzavano era abbastanza originale: "Menù di carne o vegetariano?".
Le parole in codice usate dagli spacciatori
In questo modo i componenti della banda, dieci dei quali raggiunti dall’ordinanza di custodia cautelare eseguiti, tra gli altri, nelle province di Milano, Bergamo e Pavia, facevano riferimento all’opzione vegetariana quando parlavano di una partita di marijuana e a quella "di carne" per indicare invece l’hashish. Dalle intercettazioni effettuate dai carabinieri si sono raccolte anche altri messaggi criptati come "uno di verde", che indicava un chilo di marijuana, e "un assaggio di dry", che significava un campione di cocaina. Gli spacciatori usavano anche dei cellulari criptati, che si possono sbloccare solo con uno speciale tipo di password. Il denaro che proveniva dall’attività di spaccio veniva periodicamente ritirato da un membro dell’organizzazione, grazie alla collaborazione di cittadini cinesi compiacenti e coindagati, attraverso l’occultamento all’interno di bagagli da stiva. I contanti arrivavano prima a Hong Kong e, poi, tramite trasferimenti bancari, in Marocco. Qui veniva poi completato il processo di "pulizia" del denaro che veniva reinvestito in attività commerciali apparentemente lecite, soprattutto nel settore dell’ abbigliamento, impiegato in altre operazioni finanziarie per disperderne le tracce e usarlo nuovamente per l’acquisto di droga per l’organizzazione. Attraverso un sistema basato sulla lealtà tra famiglie di commercianti cinesi e intermediari del Marocco, il denaro veniva trasferito da un Paese all’altro con l’applicazione di un interesse, che diventava il guadagno degli intermediari. Ogni transazione di denaro veniva identificata da un "codice", conosciuto dai broker e dai clienti nei rispettivi Paesi, in modo che solo l’interessato potesse riscuotere la somma. I grossisti cinesi utilizzavano biglietti da visita del negozio, sui quali annotavano le somme versate a titolo di pagamento.
I continui viaggi del denaro grazie ad agenzie compiacenti
Secondo quanto ricostruito dalle indagini, i trasporti erano organizzati attraverso agenzie di viaggio compiacenti ed avevano una cadenza a ritmi serrati fino a tre viaggi settimanali lungo la tratta Roma – Hong Kong, meta finale delle banconote. Nello scalo aereo romano al check in, una volta ottenuta la carta d’imbarco e registrato il bagaglio, con l’espediente di dichiarare dei valori al "tax refund" gli indagati si riappropriavano delle valigie e attendevano l’ingresso del corriere alle zone d’imbarco, superando i controlli doganali, per evitare eventuali controlli in frontiera da parte dell' Agenzia delle Dogane. Le valige con il denaro venivano avvolte con la pellicola protettiva "safe-bag" per evitare che durante gli scali potessero essere aperte.