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Sirene antiaereo, bunker e rifugi: cosa resta della Seconda guerra mondiale a Milano

Cantine trasformate in rifugi, bunker sotterranei e strutture a “matita”. E ancora una collina realizzata con le rovine dei palazzi bombardati e un bassorilievo “nascosto” tra le guglie del Duomo. Sono tante le tracce della guerra ancora visibili a Milano.
A cura di Francesco Loiacono
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Una foto del Rifugio n.87 di Milano (dal sito Tripadvisor)
Una foto del Rifugio n.87 di Milano (dal sito Tripadvisor)

C'è stato un tempo in cui a Milano le sirene risuonavano per avvertire di un imminente bombardamento aereo. C'è stato un tempo in cui i milanesi dovevano correre nei rifugi sotterranei per avere salva la vita. È un tempo ormai remoto a Milano, ma è un tempo drammaticamente vicino per gli abitanti di Kiev e altre città dell'Ucraina ripiombate in questo 2022 in un incubo – la guerra e il suo carico di morte – che sembrava ormai potesse essere confinato nei libri di storia, almeno in Europa.

Milano è stata una delle città più bombardate durante la Seconda guerra mondiale

Milano fu una delle città italiane più bombardate durante la Seconda guerra mondiale. Ne è testimonianza una collina artificiale, il Monte Stella, realizzata proprio utilizzando le rovine di palazzi e altri edifici. Uno dei bombardamenti degli Alleati, quello dell'agosto 1943, è addirittura scolpito nella pietra: a mostrarlo è un bassorilievo "nascosto" che si trova tra le guglie del Duomo di Milano, sul primo livello del camminamento nord. Sotto la statuta di un angelo dal profilo spigoloso, in una zona inaccessibile ai visitatori che salgono sul tetto della Cattedrale, l'opera mostra i cacciabombardieri intenti a bombardare anche il Duomo, che come tanti altri edifici fu danneggiato dalle bombe.

Il bassorilievo tra le guglie del Duomo (Foto: Veneranda fabbrica del Duomo)
Il bassorilievo tra le guglie del Duomo (Foto: Veneranda fabbrica del Duomo)

Ma la testimonianza forse più toccante è un lugubre monumento funebre che si trova davanti al municipio di Gorla, un tempo comune a sé e poi inglobato alla periferia nord-est di Milano, lungo il Naviglio della Martesana: custodisce al suo interno i resti dei cosiddetti "piccoli martiri di Gorla", 184 bambini che assieme a 19 maestre il 20 ottobre del 1944 morirono sotto i bombardamenti nella scuola elementare "Francesco Crispi".

Il monumento ossario per i "piccoli martiri di Gorla"
Il monumento ossario per i "piccoli martiri di Gorla"

Del sistema difensivo messo a punto per fronteggiare le incursioni dei cacciabombardieri alleati restano diverse tracce, alcune ancora ben visibili e suggestive. E vi è anche traccia di qualche "ferita" impressa all'arredo urbano dalla guerra in cui Mussolini trascinò Milano e l'Italia intera, e che finì dopo un bagno di sangue con la liberazione dal nazi-fascismo: in piazza della Repubblica, ad esempio, un palo della luce è ancora squarciato dalla scheggia di una granata.

La torre delle sirene e il matitone

In un ristorante milanese, in via Pasubio, è invece ancora esposta una delle sirene antiaereo che, installate in diverse parti della città, avvertivano la popolazione delle incursioni dell'aviazione nemica. "L'allarme poteva essere di due tipi – spiega Laura Barbirato, dirigente scolastica della scuola elementare Giacomo Leopardi di Milano, poi intitolata a Ermanno Olmi, nel libro "Le chiavi per aprire 99 luoghi segreti di Milano", scritto da Manuela Alessandra Filippi (Palombi editori, dicembre 2014) -: grande allarme, suonato quando i bombardieri erano molto vicini; piccolo allarme, lanciato quando gli aerei avvistati erano più lontani e avvisava che c'era più tempo per mettersi in salvo".

Oggi non ci sono sirene antiaereo funzionanti a Milano, come spiegato dal comando provinciale dei vigili del fuoco. Resta però un particolare manufatto tra palazzo Isimbardi e Palazzo Diotti, sede della Prefettura: è la "torre delle sirene", raro esempio di rifugio antiaereo "in elevato", ossia non scavato nel sottosuolo. Edificato nel 1939, venne chiamata torre delle sirene proprio perché all'interno ospitava la centrale di comando delle sirene d’allarme della città. Un altro dei pochi rifugi in elevato ancora presenti a Milano è il cosiddetto "matitone" in via Adriano: una struttura in cemento armato dove trovavano riparo gli operai della Magneti Marelli.

Il matitone in via Adriano (Foto di Taccuino Meneghino via Facebook)
Il matitone in via Adriano (Foto di Taccuino Meneghino via Facebook)

I rifugi sotterranei

Ma è sicuramente nel sottosuolo che Milano conserva la maggior parte delle tracce del periodo bellico. Non è raro incappare in scritte e frecce disegnate sui muri di alcuni palazzi, che segnalavano le "uscite di sicurezza" di cantine trasformate in rifugi antiaereo. La maggior parte di queste cantine non sarebbero state in grado di reggere un bombardamento diretto: erano infatti semplicemente strutture in muratura rafforzate a volte da travi e puntelli di legno. Pochi erano invece i rifugi costruiti in cemento armato, i soli in grado di resistere anche a una bomba sganciata proprio sulla superficie del rifugio.

Tra i rifugi meglio conservati ne citiamo due. Il primo si trova in piazza Grandi, vicino al parco Vittorio Formentano (Largo Marinai d'Italia). Attraverso una botola che si apre quasi sotto la grande fontana si può tuttora scendere nelle 25 camere sotterranee che durante la guerra potevano ospitare fino a 400 persone circa: sono presenti ancora le vecchie scritte sulle pareti che vietavano di fumare o di portare i cani e indicavano le uscite "di soccorso". Le visite guidate, organizzate da Neiade tours, sono state sospese per via della pandemia ma si può provare a contattare gli organizzatori per capire se e quando riprenderanno.

La storia del rifugio n.87

Il secondo rifugio ha una storia particolare: citato dal regista Ermanno Olmi nel suo libro "Il ragazzo della Bovisa", si trova sotto quella che all'epoca si chiamava scuola elementare Rosa Maltoni Mussolini, la madre di Benito, un classico esempio di architettura civile fascista. Il rifugio n.87 (erano circa 300 quelli realizzati a Milano), è stato riscoperto dalla preside dell'istituto, Laura Barbirato, proprio grazie al libro di Olmi, che da bambino aveva frequentato la scuola e anche il rifugio antiaereo ricavato in cantina. Dopo aver ricevuto il libro in dono, la dirigente scolastica della scuola primaria diventata prima "Giacomo Leopardi" e poi "Ermanno Olmi" è voluta scendere in cantina per vedere se il rifugio era ancora lì: e con sua somma sorpresa ha ritrovato gli ambienti che durante gli allarmi aerei potevano ospitare fino a duemila persone, tra civili e studenti, che in quelle stanze sotterranee cercavano di condurre una vita più o meno normale, continuando addirittura a fare lezione.

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