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Sicurezza a Milano, l’ex capo della Polizia locale: “Si punta troppo sulla repressione e poco sulla prevenzione”

Dalla gestione della sicurezza a Milano alla difficoltà di conciliare la movida con le esigenze dei cittadini, Emiliano Bezzon spiega a Fanpage.it perché il problema di Milano è che “si sono spostate risorse dalla prevenzione alla repressione”.
Intervista a Emiliano Bezzon
Già comandante della Polizia Locale di Milano, scrittore.
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A destra Emiliano Bezzon (foto da Facebook)
A destra Emiliano Bezzon (foto da Facebook)

L'accoltellamento di un viceispettore della Polizia di Stato alla stazione Lambrate di Milano, il finto furto subito da Rovazzi e vari altri episodi hanno riacceso il dibattito sulla sicurezza a Milano. Da un lato c'è chi accusa il Comune di sottovalutare il problema, dall'altro il sindaco Beppe Sala ricorda che il tema è in campo alla Prefettura e, quindi, al Governo. A prescindere dalla bagarre politica, Fanpage.it ha chiesto a Emiliano Bezzon, ex comandante della Polizia locale e oggi scrittore, quanto sia realmente cambiata la situazione nel capoluogo lombardo.

Emiliano Bezzon, lei è stato comandante della Polizia Locale di Milano da 2006  al 2009. Secondo lei oggi Milano è più o meno sicura di allora?

Io sono arrivato a Milano il primo gennaio del 1999, come dirigente dei reparti di pronto intervento, poi di tutti i reparti operativi e specialistici, poi vicecomandante della Polizia locale nel 2005 e comandante dal 2006 al 2009. Diciamo che ho battuto i marciapiedi giorno e notte per più di qualche annetto. Secondo me, allora si facevano molti più controlli sul territorio e c'era una maggiore visibilità delle forze di polizia nel complesso. Tutto ciò era sicuramente rassicurante per la comunità. Poi, a mio avviso, si è cominciato a pensare che la tecnologia potesse sostituire il fattore umano: non è andata così.

Ma soprattutto si sono spostate risorse dalla prevenzione alla repressione (si pensi ai vigili, poliziotti e carabinieri di quartiere…sono tutti scomparsi!). È un modello organizzativo, quello attuale, assai diverso, che ha "mollato" eccessivamente il territorio. La sicurezza non si può misurare solo sul numero di reati, occorre tenere conto anche del degrado, del dis-ordine, che oggi sono sicuramente maggiori, anche per la progressiva generalizzata tolleranza di comportamenti, poi sfuggiti di mano. Tutto ciò è sicurezza reale, non solo percepita, per non parlare del tema della sicurezza stradale, di cui tanto si parla, ma i risultati sono assai poco confortanti.

Cosa bisognerebbe fare per rendere Milano una città più sicura?

Bisogna tornare sulle strade, di giorno e di notte. Bisogna tornare a presidiare, togliendo il "presidio" ad altri soggetti, tornare a far sentire concretamente la presenza delle istituzioni e poi ragionare in termini di sistema, con strategia di medio e lungo periodo, non per spot.

A proposito, invece, di sicurezza stradale, è favorevole al limite di 30 all'ora?

A che serve porre un limite se poi non si riesce a controllarlo? Le regole hanno senso se si ha la forza di garantirne il rispetto, sennò hanno un effetto contrario, perché la comunità non ne comprende la ragione e, per reazione, è portata a trasgredire. Piuttosto farei un ragionamento serio sulla mobilità ciclopedonale: non basta tracciare delle righe colorate sull'asfalto, anzi!

A prescindere dalla sicurezza, trovi la città cambiata? In cosa?

Milano continua a essere una città straordinaria in tutto: allora come adesso. Andrebbe protetta meglio…

Ora che torna la bella stagione ricomincia anche il solito dibattito sulla movida. Come si fa a conciliare le esigenze di una città viva con quelle dei residenti?

Si chiama interculturalità: equilibrare gli interessi dei residenti, con quelli dei frequentatori dei locali e degli imprenditori. Occorre trovare punti di equilibrio per raggiungere i quali tutti devono rinunciare a  qualcosa, perché nessuno è titolare di un diritto assoluto in grado di prevalere sugli altri. Non è un tema di orari, almeno non è solo quello. Spegnere le luci dei locali forse diminuisce il rumore, ma aumenta il rischio che il territorio torni a essere popolato da presenze ancora meno accettabili. Forse qualcuno dimentica le strade fittamente popolare di prostitute e spacciatori dell'inizio del duemila e quel che ne derivava.

Occorre occupare positivamente spazi della città che altrimenti diventano terra di conquista della criminalità. I locali, in un corretto sistema di regole condivise, possono essere occupazione positiva. I gestori devono fare la loro parte, anche investendo sulla sicurezza attiva e passiva. I residenti devono fare qualche sacrificio. Le forze di polizia devono esserci in maniera più capillare. Si può fare.

Da anni ormai sei soprattutto uno scrittore e la maggior parte dei tuoi romanzi sono ambientati proprio a Milano. Che città racconti?

Racconto una città straordinaria, fatta di storie pazzesche, di luoghi bellissimi e di opportunità che altrove non ci saranno mai.  Una vera capitale europea, anzi una delle più belle capitali europee (non me ne vogliano gli abitanti della città eterna).Racconto però anche una città dove la criminalità organizzata è ben radicata e non è intenzionata a rallentare la sua corsa nel mondo dell'economia e della finanza.

Nel mio ultimo romanzo "Corpi abbandonati" le vicende milanesi, invece, sono contemporanee. Il tema della violenza familiare è trattato con un focus su quel che accade proprio dentro le famiglie della criminalità organizzata calabrese, spietata – a differenza di quel che si è pensato – anche verso le proprie donne. Ma parlo anche dello straordinario lavoro delle organizzazioni a supporto delle vittime, proprio a partire dall'esperienza milanese, sicuramente tra le più avanzate. Perchè milano è anche questo: capacità di prendersi cura dei più fragili. Forse è poco noir, ma è straordinariamente vero.

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