Si taglia la gola nel Cpr, poi si strappa i punti per evitare il rimpatrio: “Sta per avere una figlia in Italia”
Nella giornata di venerdì 17 maggio un uomo, trattenuto nel Centro di permanenza di via Corelli a Milano, si è procurato un profondo taglio alla gola. Ha ricevuto alcuni punti di sutura. Il giorno successivo li ha strappati approfondendo così la ferita. Ha però rifiutato le cure. Sempre venerdì altre persone, come mostrano le immagini diffuse dalla rete di realtà Mai più lager – NO ai CPR su Instagram, hanno tentato il suicidio: due hanno provato a impiccarsi e una terza avrebbe ingerito le pile forse di un telecomando.
Nonostante le denunce delle associazioni e un'inchiesta della Procura di Milano che ha fatto luce sulle condizioni degradanti del Cpr, la situazione non sembrerebbe essere variata.
L'uomo che si è ferito alla gola dovrebbe essere rimpatriato in Tunisia: ha una compagna incinta che a breve potrebbe partorire in Italia. Essendo trattenuto nel centro, non potrà né assistere la compagna né riconoscere il figlio al momento della nascita: "Non è la prima volta che succede. Alcuni anni fa è accaduto a un altro uomo, che aveva una compagna incinta con cittadinanza francese", ha spiegato a Fanpage.it Nadia Bovino, volontaria dell'associazione Naga.
Solitamente quando una persona irregolare sul territorio ha un figlio, dopo il riconoscimento, può presentare il certificato di nascita del bambino per chiedere e ottenere un permesso di soggiorno di sei mesi: "Questo non avviene se, come nel caso specifico dell'uomo che si è procurato un taglio alla gola, il genitore è trattenuto in un centro di permanenza per il rimpatrio", precisa Bovino.
La stessa persona che si è tagliata la gola e poi si è strappato i punti qualche ora prima aveva aiutato un ragazzo che si stava impiccando con la felpa alla ringhiera perimetrale della struttura. I gesti autolesionisti sono quasi all'ordine del giorno. Non è inoltre la prima volta che i trattenuti decidano di riaprire punti di sutura o farsi nuovamente del male: "L'obiettivo è quello di non essere in grado di viaggiare. Se si è curati e rimessi in sesto, il rischio di essere deportati e rimpatriati cresce. Purtroppo è normale amministrazione".
Non è chiaro se questa persona abbia o meno un avvocato: "Tutti i trattenuti hanno diritto a un'assistenza legale, ma nel Cpr non esiste. Di prassi se non si ha un avvocato di fiducia, ne viene assegnato uno d'ufficio dal giudice di Pace o dall'ufficio immigrazione. Il legale è nominato per poter presenziare all'udienza che deciderà per il rimpatrio. Una volta terminata l'udienza, l'avvocato non diventa automaticamente il legale del trattenuto".
"Questo significa che, – continua – durante l'udienza successiva, ne sarà nominato un altro d'ufficio. Tra un'udienza e l'altra i trattenuti sono abbandonati e il fatto che non vi sia una continuità, impedisce all'avvocato più volenteroso di fornire una difesa adeguata". E i risultati sono sotto gli occhi di tutti.