Si gioca dopo 90 anni la partita di calcio femminile vietata dal fascismo: “Servono madri, non calciatrici”
"All'Italia servono buone madri, non virago calciatrici". Con queste parole il regime fascista impedì nel 1933 la trasferta del Gfc (Gruppo femminile calciatrici milanesi), la prima squadra femminile di calcio riconosciuta dal Coni, contro le colleghe dell'Alessandria.
Oggi, dopo 90 anni, la simbolica rivincita. Succede oggi sabato 15 aprile a Lodi, al campo sportivo Nuova Lodi in zona Selvagreca: il fischio d'inizio dell'amichevole tra il Partizan Bonola Milano e l'Alessandria calcio femminile sarà alle ore 15. L’evento è stato ideato da Snoq Lodi e Toponomastica femminile, con il sostegno di tante associazioni cittadine, del Comune di Lodi e di Alessandria.
La storia delle ragazze che sfidarono il regime con un pallone
Il Gruppo femminile calciatrici (Gfc) fondato all'inizio degli anni Trenta dalle sorelle lodigiane Boccalini Marta, Rosetta, Luisa e Giovanna, non è solo una squadra di calcio amatoriale. È la storia di una vera e propria sfida al regime e alla rappresentazione fascista della donna come "angelo del focolare" e "regina della casa", relegata al ruolo monodimensionale di madre e moglie: a raccontarla, per la prima volta, il romanzo storico “Giovinette. Le calciatrici che sfidarono Il Duce”, di Federica Seneghini, con un saggio di Marco Giani (Solferino, 2020).
La gonna in campo e le visite ginecologiche
Tant'è che lo stesso regime, fin da subito, cerca di mettere un freno a quella che viene vista come una pericolosa iniziativa sovversiva, una minaccia alla necessaria divisione tra sessi ("La donna è del marito, ed è colei che si dedica interamente agli altri sino a giungere al sacrificio e all’abnegazione di sé. La donna è innanzitutto madre", le parole del filosofo e teorico del fascismo Giovanni Gentile).
Obbliga così le giovani a scendere in campo unicamente con la gonna, a giocare con un portiere maschio e a lanciare il pallone rigorosamente rasoterra. Il tutto dopo essersi sottoposte a una visita ginecologica, per il timore che non potessero diventare madri. Alle partite, inoltre, possono assistere solo uomini e donne sposate.
Dopo 90 anni la partita mai giocata
Le partite vere e proprie, però, non si disputeranno mai: dopo il permesso ottenuto dal Coni, nel 1933, arriva infatti il veto fascista, che ferma quella prima trasferta contro l'Alessandria e, in questo modo, la carriera sportiva delle ragazze.
Fino ad oggi, nel nuovo Millennio. "Novant‘anni fa le donne non potevano giocare a calcio, e non potevano esercitare quello che oggi riteniamo delle libertà assodate", le parole del Comune di Lodi. "Il ricordo delle sorelle Boccalini e del loro Gruppo femminile calcistico è importante per mostrare alle nuove generazioni la condizione femminile dell'epoca, e per far sì che ogni pregiudizio ancora oggi presente nella società attuale sia allontanato".